Pubblicato per la prima volta nel 1884, Racconti dal Mississippi è la cronaca, quasi in prima persona, della colonizzazione del Midwest americano. Sei racconti provenienti da un’America fino ad allora inedita, impensata, dove la povertà e la miseria sono i veri padroni delle vite degli eroi di queste storie. La straordinaria bellezza delle descrizioni dei paesaggi di Garland sono solo la scenografia dove viene messa in scena la tragedia quotidiana di uomini e di donne che hanno scelto di vivere lontano dagli agi delle grandi città, ma liberi di prendere in mano il proprio destino.
O almeno di provarci.
In Racconti dal Mississippi, troverete i racconti:
Un racconto dal Wisconsin
Tra i filari di granoturco
Il ritorno del soldato
Nelle grinfie del leone
Il viaggio della signora Ripley
Una strada secondaria
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Il primo Dio è un potentissimo romanzo autobiografico che ci immerge nella vita dell’autore, nei suoi tormenti, nella sua difficile infanzia, fino all’emigrazione verso gli Stati Uniti. Ne Il primo Dio c’è di tutto: la miseria, la malattia mentale, il rapporto con una sessualità a tratti acerba, il falso mito americano che trascina l’autore attraverso una metropoli attraente ma allo stesso tempo oscura. Il primo Dio è un romanzo a tratti claustrofobico, crudo, tagliente, con una scrittura intensa e sincopata, la testimonianza di un lento percorso verso la distruzione fisica e mentale.
Il primo Dio è la storia dell’ascesa, e della successiva caduta, del più grande autore maledetto italiano.
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La battaglia di Venezia potrebbe richiamare alla memoria ben più lontane e famose battaglie, come la Battaglia di Lepanto. In realtà, il titolo è preso in prestito da una più recente “battaglia navale” contro l’ingresso delle grandi navi nella laguna di Venezia. Anche in quest’occasione, sono due culture a scontrarsi. La posta in palio è la stessa città di Venezia.
La battaglia di Venezia nasce da due lectures riguardo alcune importanti città europee.
Vincenzo Latina e Francesco Venezia sono stati invitati per immaginare e descrivere un viaggio narrativo trasversale fra attualità e storia, architetti e architetture…
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“Secondo nome: Huntington” è un progetto in cui designers, biologi e fablabs hanno riflettuto insieme sull’Huntington, una malattia che, come “un secondo nome”, il destino attribuisce alla persona.Sfogliando il libro si entra in questo mondo spesso ignorato da una società votata alla bellezza e al profitto, che preferisce non confrontarsi con le sue “debolezze”: il design si fa strumento per scardinare preconcetti, per regalare letture inaspettate, per innovare a partire dal “minuto”, che non è mai “minore”.I progetti – che esplorano la dimensione affettiva, simbolica e funzionale dell’abitare – riflettono sulle necessità della malattia, ma anche su gesti, emozioni, delusioni, paure e speranze universali. Perché parliamo di Huntington, ma raccontiamo sempre di noi.
Per secoli siamo stati abituati a considerare la politica nel suo rapporto con la territorialità. Abbiamo imparato ad adorare, come un idolo, lo Stato-nazione. Ci siamo convinti che fosse naturale, entro un certo spazio, che degli esperti o delle maggioranze decidessero su tutto e che lo decidessero per tutti. Ma all’alba del ventunesimo secolo questo modello non funziona più: viviamo in una società multiculturale, frammentata, solcata da tensioni. Una parte crescente dei rapporti umani ed economici si svolge in una dimensione immateriale. Oggi insomma siamo chiamati a ripensare la nostra idea di organizzazione sociale: ripensare il ruolo dello Stato e, di converso, quello degli individui e delle comunità. Abbiamo bisogno di regole, certo, ma queste regole devono adattarsi alla varietà delle forme di vita che abitano il mondo. È infine giunto il tempo della panarchia?
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La disoccupazione tecnologica è un problema di cui si discute da almeno due secoli. Finora il pericolo di una disoccupazione di massa dovuta al progresso tecnologico è stata scongiurata grazie alla riduzione dell’orario di lavoro, allo sviluppo dell’istruzione pubblica e alla nascita di nuovi settori dell’economia. Gli studi raccolti in questo volume si chiedono se la comparsa di computer e robot di nuova generazione, che mostrano un comportamento sempre più simile a quello degli esseri umani, se non addirittura sovrumano, non ci stia portando verso un punto di non ritorno che ci lascerebbe poche vie d’uscita. A complicare la situazione c’è la scomparsa dell’idea stessa di politica sociale e industriale, sancita dal dominio del paradigma neoliberista. Una delle proposte in campo per ovviare al problema della disoccupazione tecnologica è il reddito di cittadinanza. È una soluzione che permetterebbe di evitare derive luddiste e allo stesso tempo di distribuire più equamente i vantaggi offerti dalla rivoluzione robotica. Ma siamo davvero pronti ad affrontare questa trasformazione radicale della società?
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Guarda che è un lavoro difficile, duro e faticoso.
Sei pronto a impegnarti e a lavorare sodo?”
Il coccodrillo che voleva essere un drago è una fiaba pensata per insegnare ai piccoli cuccioli di umano (ma anche agli umani un po’ più grandi) che niente è impossibile se ci si impegna abbastanza. Neppure diventare un drago!
Quello che avete tra le mani in questo momento non è un semplice libro: è un manifesto, una chiamata alle armi, una controversa disamina sullo stato dell’arte riguardo la lotta all’invecchiamento. Nel 2007, quando questo testo venne pubblicato per la prima volta in inglese dalla St. Martin’s Press di New York, con il titolo Ending Aging, le reazioni furono decisamente polarizzate: da un lato, le voci contrarie si opponevano in modo talmente forte alle idee contenute in questo testo da essere oggetto di un forte interesse politico negli Stati Uniti. Dall’altra però, riuscì ad avvicinare migliaia di persone in tutto il mondo al dibattito legato alle possibilità che la scienza può offrire al genere umano. Al tempo, Aubrey de Grey presentò ad un pubblico generalista una tesi allo stesso tempo sconcertante e provocatoria: il nostro corpo non ha una data di scadenza, e, attraverso la scienza, può virtualmente vivere per sempre. Non solo: la vecchiaia è una malattia che, proprio come la poliomelite, può essere sconfitta. L’elisir di eterna giovinezza potrebbe trovarsi, tra qualche anno, tra le mani di qualche scienziato…
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Urban re-activation is becoming an increasingly relevant and complex topic in Europe, as it brings together a growing community of influential actors who, in recent years, have established a number of successful interventions in the field of re-use and re-appropriation. In this book, we will not only investigate these informal practices as they pertain to architects, but also to various groups and collectives, designers, entrepreneurs, programmers, geographers, and so on-concerned citizens who have already begun to transform their ideas into actions by introducing new models and innovative ideas. Following this initial introduction, we shall present a series of interviews from a selection of experts, researchers, local administrators, and architects, all active in the re-activation of urban spaces throughout the European Union, whose realization of innovative new projects and initiatives will play a central role in our discussions over urban re-activation, and, in our view, represents some of the most interesting examples that define our toolbox for re-use. These valuable contributions, consisting of various keywords, models, and examples representing a broad range of European experiences, are intended to help the reader in identifying and understanding some of the most powerful and innovative tools for urban re-activation.
O Peretu (The dwelling place of Peretu) is the ancient name of Takapuna Head, on which Fort Takapuna was built in 1886 to defend New Zealand from invasion by Russians. The site is identified as a regionally significant landscape, being part of a series of headlands and promontories that comprise the east coast of Auckland Region’s North Shore. It provides a natural “grand stand” to the Rangitoto Channel, a feature that led to the occupation of this area by pre-European Maori and later as a strategic New Zealand military defence. ‘Territory of memories’ for the tribal groupings of Ngati Whatua, Kawerau a Maki and Ngati Paoa, all having ancestral association with this site, as well as local community groups, its future looks uncertain.
Can architecture contribute to make the site’s identities intelligible, transforming this ‘space’ into a ‘place’ for many?
Manuel Aires Mateus, and 15 selected students of the Master of Architecture program, try give an answer.
Internationally acclaimed Portuguese architect Manuel Aires Mateus was appointed as the International Architect in Residence, organized, since 2010 by University of Auckland’s School of Architecture and Planning. Connected to Siza’s Porto School, with its emphasis on contextualism and sculptural austerity, Manuel Aires Mateus has become an icon of contemporary Portuguese architecture: his projects are characterised by materiality, mass and a muteness of abstraction, which translate traditional Portuguese shapes into detail-free surfaces. Drawing on his academic experience gained through professorial roles in the US, Switzerland, Slovenia, and Portugal, he was challenged to teach his unique design approach to 15 students of the Master of Architecture program.
This publication not only brings together the outcomes of that extraordinary design studio experience, but also aims at documenting the whole creative process beyond it, from initial research to the final design proposals. The overall design quality has been recognised both within and outside the School of Architecture and Planning through special mentions and awards in architectural competitions.
Esiste un progresso in architettura? Qual è la relazione tra sviluppo tecnico e progetto?
Capire fin dove è fertile e innovatrice la naturalizzazione dell’architettura post-decostruttivista e da che punto in poi questa diviene un feticcio biomimetico, manierismo tecnocratico ostile e introverso, è uno dei temi cruciali dell’architettura del nuovo millennio, nata per ricomporre e rigenerare le metropoli e, nell’ultimo decennio, divenuta oggetto sempre più chiuso e separato dalla città.
La maniera biomimetica prosegue la lettura iniziata in La linea della complessità attraverso la medesima prospettiva critica e concentra l’attenzione sulle ricerche che oggi sfruttano al massimo le tecnologie della progettazione (computational, parametric, algorithmic, morphogenetic design) in nome del progresso scientifico e di una nuova tabula rasa culturale, per comprendere se queste pratiche costituiscano, oltre che una indubbia novità sul piano tecnico e formale, anche uno sviluppo positivo dal punto di vista urbano ed ecologico.
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Che direzione ha preso l’architettura negli ultimi vent’anni? Cosa c’è dietro le strutture biomorfe che si diffondono in ogni angolo del mondo? Architettura Post-Decostruttivista tenta di rispondere a queste domande attraverso una prospettiva critica basata sulla nozione di complessità. Il testo esplora l’itinerario di ricerca seguito al decostruttivismo partendo dall’opera di Zaha Hadid (Pritzker Price, Artista per la Pace UNESCO, architetto più menzionato in rete 2013), cruciale nel superamento del paradigma cartesiano e i cui caratteri di molteplicità, simultaneità, intreccio e dinamismo sono chiavi di lettura essenziali del presente. Nonostante profonde contraddizioni, Hadid irrompe nel panorama ipercodificato dell’architettura occidentale rigenerandone il linguaggio e orientando la ricerca internazionale verso una spazialità complessa (cumplexus: intessuto insieme), ibrido di codice storico e origine biologica. Da questo stile, arricchito da nuovi protagonisti come DMAA, Plasma Studio, Stefano Boeri, Tom Wiscombe e UNStudio, emerge una figura instabile e vitale che porta alla ribalta un paradigma perduto tutt’altro che inedito.
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Che cos’è un corpo? Prima ancora di rispondere a questa domanda, Topie Impitoyable cerca di capire cosa voglia dire porsi un simile interrogativo. Questo libro si propone, infatti, di mettere in dubbio ogni luogo comune riguardo quello strano assemblaggio materiale qual è il corpo e il suo rapporto con ciò che lo circonda. Un rapporto che si consuma attraverso gli oggetti, le atmosfere e gli altri corpi intorno ad esso: occasionali o ricercati che siano, da tali rapporti emerge una lettura politica che condiziona ogni singola relazione.
Le tre scale qui analizzate, quella dell’abbigliamento, quella delle mura e quella della strada, non dovrebbero in nessun caso essere progettate come elementi tra loro separati. Ad ognuna di queste scale corrisponde una immagine, una momentanea colta da un flusso di eventi che questo libro vuole narrare. Dalla felpa indossata da Traycon Martin quando venne ucciso, alle strade di New York durante la manifestazione di Occupy Wall Street, passando per le mura dell’apartheid palestinese, questo libro si sviluppa in una serie di esempi che illustrano l’ipotesi secondo la quale corpi e oggetti di ogni dimensione non possono che intessere tra loro rapporti politici.
Organizzato in quattro capitoli e illustrato da Loredana Micu, Topie Impitoyable svela al lettore l’intrinseca violenza che si nasconde dietro ogni forma di spazio, sia esso quello occupato dal nostro corpo, che quello urbano.
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Le Regioni H II sono quelle nebulose associate alla nascita delle giovani stelle. Le zone di formazione stellare si trovano infatti sempre in corrispondenza di questo tipo di oggetti nebulosi, le quali non permettono alle stelle di far arrivare fino a noi la loro luce. Regione H II è un nuovo progetto editoriale che intende andare a scoprire e far emergere quelle che sono le stelle di nuova formazione nella galassia artistica ed architettonica italiana ed internazionale, che, a causa della nube informativa che rende opaco e torbido ciò che le sta sotto, non riusciamo a vedere chiaramente. Non semplici studi monografici, ma analisi capaci di narrare e approfondire le ricerche e i progetti degli studi che verranno invitati a raccontarsi (o ad essere raccontati). Il primo autore oggetto di studio da parte di Regione H II è Giovanni Vaccarini, architetto pescarese ormai di fama internazionale, che con i suoi progetti sta conducendo una interessante ricerca sulla nozione di “superficie”. “Superficie, tessuto, corpo” racconta questa ricerca tramite un intreccio di immagini, testi, interviste e progetti, tale da poterci fare immergere completamente nel suo lavoro.
La sentenza hegeliana della morte dell’arte rilevava come già nelle chiese gotiche, immerse nell’interiore e nel traforo delle decorazioni in cui “sparire”, l’architettura, non più depositaria di una arché fondativa, si facesse mera techné, luogo di singolari affezioni. Il progetto moderno ha tentato di ricostruire all’abitare i lineamenti di un principio attraverso l’idea di un progresso rivolto a un armonizzato mondo finale. Il fallimento del suo tentativo di ricostruire “la casa di Adamo in Paradiso” è stato rilevato da Manfredo Tafuri, il quale ha letto nel residuale “piacere” dei testi architettonici, un piacere privato che, in “momenti di estatica solitudine”, illudendo di recuperare un’esperienza del tempo interiore non coglie la propria estraneazione dalla realtà. Sarà Rem Koolhaas, caricaturizzando il “tragico” dell’analisi tafuriana, verificata la “fine della guerra”, a condurre quel piacere al mercato, mentre, proprio perché necessitata a misurarsi con il carattere “favolistico” del nostro mondo, l’architettura, interrogandosi sui poteri che muovono le sue definizioni, potrebbe partecipare piuttosto alla liberazione del desiderio. Per Tafuri la consapevolezza della fine degli eroismi si manifestava in opere dalla “inattuale purezza”. Ma le formalizzazioni computerizzate hanno tracciato un nuovo fronte tra l’aspirazione alla libertà dei sensi e quella di rendere il piacere strumento di potere, obbligando l’architettura a sporcarsi nel conflitto. Nella nuova architettura si muove così sia il rischio di allestire schermi ai poteri mercantili che un autentico ethos rivolto alla libertà creativa. È la mappa di queste possibilità che, indagando anche sui moventi filosofici delle nuove esperienze del progetto, questo testo tenta di tracciare.
Nella società in cui viviamo oramai è tutto monitorabile, controllabile. Chiunque può essere e deve essere considerato come un portatore di informazioni e di dati che vengono costantemente osservati, studiati, conservati e poi trasformati in capitale. Nella società in cui viviamo gli NFT (e di conseguenza la blockchain e i token) sono la rappresentazione esatta di questo cambiamento radicale.
NFT: No_FuTure è un libro nato dalla collaborazione tra il collettivo Nuovo Abitare e D editore, un libro critico che ha l’intento di esporre gli
aspetti negativi di questo nuovo mondo. In un formato ottimizzato per lo schermo del cellulare, NFT: No_FuTure è gratuito e liberamente scaricabile dalla pagina di D editore e sul sito di Nuovo Abitare.
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