Nell’ultimo decennio, si è parlato con sempre più insistenza di economia circolare, un modello di produzione e consumo che implica condivisione, riutilizzo, riparazione e dei beni esistenti al fine di farli vivere il più a lungo possibile. In questo modello, è chiaro, il tema dei rifiuti è sempre più importante. Come impattano i rifiuti nella pianificazione urbanistica? In che modo l’architettura può supportare questo nuovo modello? E ancora, come può l’architettura farsi portavoce di un modello di produzione e consumo sempre più sostenibile?
Nato in seno a una serie di eventi e riflessioni scaturite in sede del Padiglione Italia “Comunità Resilienti” alla 17. Mostra Internazionale di Architettura Biennale di Venezia, Abitare circolare esprime la consapevolezza di assumere i rifiuti come parte del patrimonio culturale e naturale e quindi di un sistema complesso utile a promuovere lo sviluppo sostenibile delle città e dei territori.
Grazie al contributo di decine di professioniste e professionisti, e ancor più casi studio, Abitare circolare è la prima indagine approfondita sul tema dell’economia circolare, del rifiuto e della sostenibilità e del loro ruolo nella progettazione e costruzione della città.
Venturino Ventura ha conosciuto un lungo e incomprensibile oblio. Da qualche anno però il suo nome sta tornando alla luce, e questo grazie alla riscoperta delle sue architetture, che per anni nell’immaginario dei cittadini romani sono stati di un anonimo architetto senza nome.
Venturino Ventura coglie l’occasione della riqualificazione della piazzetta Morgagni per indagare l’attività dell’architetto romano, indagando con tavole originali e foto inedite l’attività di uno dei grandi “dimenticati” della storia dell’architettura italiana.
Il cambiamento climatico sta mettendo a dura prova il sistema agricolo e alimentare di pregio, che è all’origine di quel modello urbano italiano che ha riscosso così grande successo nel mondo. Eppure, sono proprio l’architettura e l’urbanistica degli ultimi ottant’anni ad essere la prima causa di emissioni di CO2, le quali sono tra le origini dell’aumento della frequenza e della violenza di fenomeni climatici estremi. Questa analisi mostra chiaramente la centralità dell’architettura in questo processo: il mondo dell’architettura ha la responsabilità di offrire il proprio contributo.
Comunità Resilienti, catalogo del Padiglione Italia alla Biennale Architettura 2021, vuole essere proprio questo: una riflessione sulla questione del cambiamento climatico, che si stima essere tra le principali cause di emigrazione su scala globale e di malattie nei prossimi trent’anni. Comunità Resilienti si impegna a ricercare quelle che potrebbero essere le strategie e risorse da mettere in atto per affrontare la più grande sfida del nostro tempo.
All’origine dei meravigliosi disegni visionari di Alessandro Melis, vi è una ricerca archetipica dell’architettura, simile a quella di Piranesi, dove massi e rovine dialogano in armonia e in dolci abbracci con la natura. Vi è un dialogo d’amore tra le rovine del passato e la natura che dà vita a un’architettura nuova, al contempo biologica e inerte, resiliente e autopoietica, corazzata e in grado di reagire alle mutazioni climatiche. Una nuova architettura, in perfetta simbiosi tra natura e artificio, tra paesaggio e tecnologia, auto-creatasi non direttamente per volere umano ma indirettamente per la sua incapacità di preservare il creato. Se non saremo in grado di creare e credere in un nuovo racconto epico per l’architettura del prossimo futuro sicuramente non saremo in grado di comprendere l’opera di Alessandro Melis che ci suggerisce che «È giunto il tempo dei visionari, gli unici in grado di ripensare radicalmente alle relazioni tra Umanità e habitat».
Alessandro Melis | Utopic Real World verrà inviato il 29 febbraio, data di pubblicazione del libro.
“Secondo nome: Huntington” è un progetto in cui designers, biologi e fablabs hanno riflettuto insieme sull’Huntington, una malattia che, come “un secondo nome”, il destino attribuisce alla persona.Sfogliando il libro si entra in questo mondo spesso ignorato da una società votata alla bellezza e al profitto, che preferisce non confrontarsi con le sue “debolezze”: il design si fa strumento per scardinare preconcetti, per regalare letture inaspettate, per innovare a partire dal “minuto”, che non è mai “minore”.I progetti – che esplorano la dimensione affettiva, simbolica e funzionale dell’abitare – riflettono sulle necessità della malattia, ma anche su gesti, emozioni, delusioni, paure e speranze universali. Perché parliamo di Huntington, ma raccontiamo sempre di noi.
Urban re-activation is becoming an increasingly relevant and complex topic in Europe, as it brings together a growing community of influential actors who, in recent years, have established a number of successful interventions in the field of re-use and re-appropriation. In this book, we will not only investigate these informal practices as they pertain to architects, but also to various groups and collectives, designers, entrepreneurs, programmers, geographers, and so on-concerned citizens who have already begun to transform their ideas into actions by introducing new models and innovative ideas. Following this initial introduction, we shall present a series of interviews from a selection of experts, researchers, local administrators, and architects, all active in the re-activation of urban spaces throughout the European Union, whose realization of innovative new projects and initiatives will play a central role in our discussions over urban re-activation, and, in our view, represents some of the most interesting examples that define our toolbox for re-use. These valuable contributions, consisting of various keywords, models, and examples representing a broad range of European experiences, are intended to help the reader in identifying and understanding some of the most powerful and innovative tools for urban re-activation.
O Peretu (The dwelling place of Peretu) is the ancient name of Takapuna Head, on which Fort Takapuna was built in 1886 to defend New Zealand from invasion by Russians. The site is identified as a regionally significant landscape, being part of a series of headlands and promontories that comprise the east coast of Auckland Region’s North Shore. It provides a natural “grand stand” to the Rangitoto Channel, a feature that led to the occupation of this area by pre-European Maori and later as a strategic New Zealand military defence. ‘Territory of memories’ for the tribal groupings of Ngati Whatua, Kawerau a Maki and Ngati Paoa, all having ancestral association with this site, as well as local community groups, its future looks uncertain.
Can architecture contribute to make the site’s identities intelligible, transforming this ‘space’ into a ‘place’ for many?
Manuel Aires Mateus, and 15 selected students of the Master of Architecture program, try give an answer.
Internationally acclaimed Portuguese architect Manuel Aires Mateus was appointed as the International Architect in Residence, organized, since 2010 by University of Auckland’s School of Architecture and Planning. Connected to Siza’s Porto School, with its emphasis on contextualism and sculptural austerity, Manuel Aires Mateus has become an icon of contemporary Portuguese architecture: his projects are characterised by materiality, mass and a muteness of abstraction, which translate traditional Portuguese shapes into detail-free surfaces. Drawing on his academic experience gained through professorial roles in the US, Switzerland, Slovenia, and Portugal, he was challenged to teach his unique design approach to 15 students of the Master of Architecture program.
This publication not only brings together the outcomes of that extraordinary design studio experience, but also aims at documenting the whole creative process beyond it, from initial research to the final design proposals. The overall design quality has been recognised both within and outside the School of Architecture and Planning through special mentions and awards in architectural competitions.
Esiste un progresso in architettura? Qual è la relazione tra sviluppo tecnico e progetto?
Capire fin dove è fertile e innovatrice la naturalizzazione dell’architettura post-decostruttivista e da che punto in poi questa diviene un feticcio biomimetico, manierismo tecnocratico ostile e introverso, è uno dei temi cruciali dell’architettura del nuovo millennio, nata per ricomporre e rigenerare le metropoli e, nell’ultimo decennio, divenuta oggetto sempre più chiuso e separato dalla città.
La maniera biomimetica prosegue la lettura iniziata in La linea della complessità attraverso la medesima prospettiva critica e concentra l’attenzione sulle ricerche che oggi sfruttano al massimo le tecnologie della progettazione (computational, parametric, algorithmic, morphogenetic design) in nome del progresso scientifico e di una nuova tabula rasa culturale, per comprendere se queste pratiche costituiscano, oltre che una indubbia novità sul piano tecnico e formale, anche uno sviluppo positivo dal punto di vista urbano ed ecologico.
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Che direzione ha preso l’architettura negli ultimi vent’anni? Cosa c’è dietro le strutture biomorfe che si diffondono in ogni angolo del mondo? Architettura Post-Decostruttivista tenta di rispondere a queste domande attraverso una prospettiva critica basata sulla nozione di complessità. Il testo esplora l’itinerario di ricerca seguito al decostruttivismo partendo dall’opera di Zaha Hadid (Pritzker Price, Artista per la Pace UNESCO, architetto più menzionato in rete 2013), cruciale nel superamento del paradigma cartesiano e i cui caratteri di molteplicità, simultaneità, intreccio e dinamismo sono chiavi di lettura essenziali del presente. Nonostante profonde contraddizioni, Hadid irrompe nel panorama ipercodificato dell’architettura occidentale rigenerandone il linguaggio e orientando la ricerca internazionale verso una spazialità complessa (cumplexus: intessuto insieme), ibrido di codice storico e origine biologica. Da questo stile, arricchito da nuovi protagonisti come DMAA, Plasma Studio, Stefano Boeri, Tom Wiscombe e UNStudio, emerge una figura instabile e vitale che porta alla ribalta un paradigma perduto tutt’altro che inedito.
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Le Regioni H II sono quelle nebulose associate alla nascita delle giovani stelle. Le zone di formazione stellare si trovano infatti sempre in corrispondenza di questo tipo di oggetti nebulosi, le quali non permettono alle stelle di far arrivare fino a noi la loro luce. Regione H II è un nuovo progetto editoriale che intende andare a scoprire e far emergere quelle che sono le stelle di nuova formazione nella galassia artistica ed architettonica italiana ed internazionale, che, a causa della nube informativa che rende opaco e torbido ciò che le sta sotto, non riusciamo a vedere chiaramente. Non semplici studi monografici, ma analisi capaci di narrare e approfondire le ricerche e i progetti degli studi che verranno invitati a raccontarsi (o ad essere raccontati). Il primo autore oggetto di studio da parte di Regione H II è Giovanni Vaccarini, architetto pescarese ormai di fama internazionale, che con i suoi progetti sta conducendo una interessante ricerca sulla nozione di “superficie”. “Superficie, tessuto, corpo” racconta questa ricerca tramite un intreccio di immagini, testi, interviste e progetti, tale da poterci fare immergere completamente nel suo lavoro.
La sentenza hegeliana della morte dell’arte rilevava come già nelle chiese gotiche, immerse nell’interiore e nel traforo delle decorazioni in cui “sparire”, l’architettura, non più depositaria di una arché fondativa, si facesse mera techné, luogo di singolari affezioni. Il progetto moderno ha tentato di ricostruire all’abitare i lineamenti di un principio attraverso l’idea di un progresso rivolto a un armonizzato mondo finale. Il fallimento del suo tentativo di ricostruire “la casa di Adamo in Paradiso” è stato rilevato da Manfredo Tafuri, il quale ha letto nel residuale “piacere” dei testi architettonici, un piacere privato che, in “momenti di estatica solitudine”, illudendo di recuperare un’esperienza del tempo interiore non coglie la propria estraneazione dalla realtà. Sarà Rem Koolhaas, caricaturizzando il “tragico” dell’analisi tafuriana, verificata la “fine della guerra”, a condurre quel piacere al mercato, mentre, proprio perché necessitata a misurarsi con il carattere “favolistico” del nostro mondo, l’architettura, interrogandosi sui poteri che muovono le sue definizioni, potrebbe partecipare piuttosto alla liberazione del desiderio. Per Tafuri la consapevolezza della fine degli eroismi si manifestava in opere dalla “inattuale purezza”. Ma le formalizzazioni computerizzate hanno tracciato un nuovo fronte tra l’aspirazione alla libertà dei sensi e quella di rendere il piacere strumento di potere, obbligando l’architettura a sporcarsi nel conflitto. Nella nuova architettura si muove così sia il rischio di allestire schermi ai poteri mercantili che un autentico ethos rivolto alla libertà creativa. È la mappa di queste possibilità che, indagando anche sui moventi filosofici delle nuove esperienze del progetto, questo testo tenta di tracciare.
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