Diritti digitali
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Chiedersi cos’è un’opera d’arte o un artista nel 2022 lascia consapevolmente senza appigli. Il legame di una creazione con l’abilità tecnica è una mitologia stantia e più ci si sposta nel tempo e nello spazio più questo collegamento dimostra la sua convenzionalità. Le pitture rupestri erano frutto dell’abilità di un artigiano o di chi officiava un rito? Che dire dell’arte orientale, dove spesso l’imitazione del maestro serviva a raggiungere la sua perfezione per preservare la continuità dello stesso stile? E ancora il ready-made, il collage, gli assemblaggi della pop art, l’action painting, la computer art, l’arte concettuale e collettiva… sono tutte prassi che hanno scardinato in vario e diverso modo l’opera d’arte dal lavoro, l’identità e in parte l’intenzionalità di chi la crea – sembra che l’unico criterio in grado di reggere sia quello coniato da Dino Formaggio nel 1973, con quella che era solo apparentemente una battuta: «L’arte è tutto ciò che gli uomini chiamano arte»[1]. L’arte è quel che una persona (o un gruppo) convince altre che lo sia.
Questo vecchio dibattito è tornato al centro dell’attenzione pubblica grazie all’avvento delle tecnologie TTI (text to image), dei software in grado di creare immagini a partire da comandi testuali. Come spesso accade il motivo non è di carattere estetico ma economico, perché l’ambito in cui è ancora molto importante sapere chi ha creato un’opera è il diritto – e non stupisce, dato che ci sono di mezzo i soldi. Come ho avuto modo di scrivere in un’intervista (di prossima pubblicazione) a Marina Moretti, avvocata specializzata in proprietà intellettuale, penso che l’entrata in scena di una nuova tecnologia più che mettere in discussione le vecchie categorie palesa la loro inadeguatezza; è il caso dell’autorialità, che aveva subìto colpi ben peggiori e che dunque non desta troppo scandalo, e in maggior misura del diritto d’autore. Per quel che riguarda le TTI, le domande più frequenti sono: le TTI creano opere originali o dei plagi? È lecito che siano presenti immagini protette dal diritto d’autore negli immensi dataset utilizzati per creare questi algoritmi? Sono questioni importanti, che, come spesso accade, mettono in discussione delle idee che davamo per scontate.
Rispondere alla prima domanda mi sembra più facile, perché è palese che, come con qualunque strumento, con le TTI è possibile creare dei plagi. Se desidero disegnare Mickey Mouse e lo uso nel prompt testuale di una TTI il risultato sarà probabilmente un plagio della Disney. Questo però accade anche se una persona con medie capacità prende una matita con l’intenzione di disegnare Mickey Mouse; il disegno che ottiene è anch’esso un plagio della Disney. Nulla di nuovo dunque; l’unico rischio aggiuntivo – certo da non sottovalutare – è quello del plagio inconsapevole. Poniamo ad esempio che una persona scriva un prompt che dà come risultato qualcosa di molto simile a Mickey Mouse e che non abbia mai visto (per quanto sia improbabile) l’originale della Disney: otterrà un plagio senza saperlo. Quanto sia frequente un simile pericolo è ancora difficile da dire, ma per capirlo è possibile usare un criterio pratico. Se esploriamo le tantissime immagini che vengono create ultimamente con le TTI, si troverà senza dubbio una notevole quantità di ‘fan art’, ma questa categoria imitativa di immagini esisteva già prima e comunità come DeviantArt ne sono piene; la differenza è che quelle generate con le TTI sono più facili da ottenere e che sono spesso di buon livello. Questo però non è attinente al plagio, che, come per qualunque caso di fan art, accade solo se il materiale viene utilizzato con un’attribuzione errata o assente e/o se viene sfruttato a scopo commerciale. Per restare sull’esempio di Mickey Mouse, con le TTI anche senza saper disegnare posso creare un’eccellente illustrazione del celebre personaggio Disney, ma a cambiare è la facilità e la qualità dell’opera, il plagio resta identico, che io lo compia con la matita, il pennello o la computer graphics.
La seconda domanda invece innesta una crisi, più legislativa che autoriale. Per affrontarla voglio introdurre quel che probabilmente è il primo libro d’artista creato con queste tecnologie; si tratta di Fastwalkers (D Editore, 2022), un hentai che sembra illustrato dalla fusione di Francis Bacon con Masamune Shirow e sceneggiato da una chimera di Nagarjuna e Bataille. In realtà il libro è stato disegnato e sceneggiato da Ilan Manuach grazie all’uso di TTI e GPT-3, la tecnologia analoga per la produzione di testo. Manuach è uno dei più importanti artisti nel campo del Conceptual Comics e da tempo lavora alla decostruzione del concetto di autore. A tale proposito basta citare un suo lavoro del 2011, Katz, una copia esatta dell’edizione francese di Maus, il celeberrimo fumetto di Spiegelman, con l’unica differenza che tutti i personaggi sono stati ridisegnati come gatti. Due settimane prima che uscisse il libro, gli avvocati di Flammarion hanno inviato una lettera di diffida contenente un documento di cinquecento pagine che metteva a confronto le pagine di Maus e Katz, le interviste di Manouach e la sua corrispondenza con Art Spiegelman. Rifiutando di prendere in considerazione la natura dell’operazione e la sua tiratura molto limitata, Flammarion ha considerato Katz un prodotto contraffatto e ha imposto la distruzione della totalità della tiratura. Rispetto a un’operazione come questa, quella di Fastwalkers è davvero una bazzecola. È però interessante notare come (mi auguro) Fastwalkers non genererà controversie autoriali: Manouach infatti ha sviluppato un suo algoritmo grazie al lavoro di un gruppo interdisciplinare nell’ambito del programma Nvidia Inception Accelerator, che, leggo nel comunicato stampa, «si avvale di informatici e designer sfruttando gli ultimi ritrovati nel campo delle AI, come GAN e GPT-3. Il software è stato nutrito di anime e hentai in un’amalgama di diverse banche dati create per l’occasione, algoritmi, sistemi di indicizzazione, prototipi e modelli sperimentali». Manouach insomma ha fatto un lavorone e sarebbe ingrato mettergli i bastoni tra le ruote – ma attenzione, lo sarebbe allo stesso modo se per fare Fastwalkers avesse usato Stable Diffusion o Midjourney, perché molto difficilmente la banca dati utilizzata dall’artista era composta nella sua totalità da immagini libere dal diritto d’autore. Per addestrare queste macchine infatti ci vuole una grandissima quantità di immagini e non so quanti hentai liberi dai diritti ci siano in giro… ma ripeto, per quella che è la poetica di Manouach, Fastwalkers è forse l’opera meno problematica nell’ambito del diritto d’autore.
Torniamo ora alla seconda domanda: è eticamente illecito usare immagini protette dal diritto d’autore per il training di questi programmi? Anche qui la risposta non è legata al concetto di autore, ma, come spesso accade, ai soldi. Proviamo a procedere con un esempio. Per allenare una TTI ci vuole una quantità spropositata di immagini, ad esempio per Stable Diffusion ne sono state usate più di due miliardi. Se per sviluppare l’algoritmo tra questi miliardi di immagini ce ne sono cento realizzate da me, la mia opera è un duecentomilionesimo del materiale di partenza usato per sviluppare il programma. Se considero il database come qualcosa che è stato utilizzato per creare il programma ma che non ne fa parte, non credo si possa accampare qualche diritto – è come pensare che se disegno un manga devo corrispondere dei diritti in percentuale a tutti i mangaka prima di me, dato che per farlo ho senza dubbio attinto a quell’immaginario. Le TTI però non sono umani, sono strumenti, e se nel caso dell’uomo è impossibile stabilire con esatte proporzioni le influenze di immaginari e strumenti – ricordiamo che anche i ballons, le chine, le matite, le immagini in sequenza con del testo e via dicendo sono state inventate da qualche persona e sviluppate da altre – nel caso delle TTI questo calcolo si può fare. Ipotizziamo dunque che il database sia parte integrante delle TTI: logica (o meglio etica) vuole che io debba avere di conseguenza un duecentomilionesimo di una parte dei proventi commerciali generati da ogni immagine prodotta con questa TTI. Il dataset infatti non è la totalità del lavoro dietro a una TTI né tantomeno di quel che questa produce, che oltre al lavoro di chi programma il software include anche quello umano di chi genera l’immagine (e magari post-produce, contestualizza ecc…). Per restare larghi diciamo che come artista presente nel dataset mi spetti una percentuale incredibilmente generosa, il 10% di ogni introito generato dal mercato della TTI in questione, ovviamente in proporzione alla mia influenza sul dataset. Se sono presente con cento immagini, per ogni miliardo di euro dovrei ottenere un duecentomilionesimo del dieci percento di un miliardo: 50 centesimi. Ora, è più che evidente che oltre ad essere una cifra irrisoria e calcolata per eccesso (e con cento immagini nel database, pensate a una), una tale redistribuzione è da un punto di vista pratico è complessa fino al ridicolo.
La soluzione va cercata altrove; nel dichiarare illegale questa tecnologia, ad esempio. Una soluzione luddista che trovo poco soddisfacente – chissà se aprirebbe a un mercato nero delle TTI – ma che diventerebbe anche un curioso precedente. Per quale ragione, ad esempio, all’inventore degli “occhi grandi” dei manga Osamu Tezuka o i suoi eredi non dovrebbe spettare una piccola parte dei diritti da parte di chiunque usi questa idea? Potrei fare altri esempi, ma basta un po’ di fantasia per capire che rendere un diritto d’autore capillare al milionesimo porterebbe alla paralisi di qualunque operazione artistica. Un’altra soluzione è che l’uso delle opere protette dal diritto d’autore nel training sia eticamente lecito (non parlo mai di legalità perché non sono un giurista). Una soluzione che preferisco alla prima, ma che potrebbe lasciare molte persone insoddisfatte – e come dargli torto, aziende come Midjourney macinano milioni con un software proprietario che scavalca il diritto d’autore…
Prima di considerarci in un vicolo cieco credo si debba ricordare che non esistono leggi che siano in qualche modo ‘oggettive’, non esistendo un’etica universale; sono delle convenzioni frutto di un accordo tra gruppi sociali. E allora accordiamoci: una possibilità è che se una TTI usa liberamente delle opere debba essere libero anche il suo codice, come attualmente accade per Stable Diffusion. Oppure che venga offerto un contributo forfettario a persone o gruppi che fanno a capo a più di mille (o diecimila?) immagini presenti nei dataset. O che non si possa usare immagini di viventi, o dello stesso autore oltre un certo numero, tipo cento, mille… sono solo ipotesi e vanno prese come tali, ma quel che mi preme è invitare a un cambio di prospettiva. Non c’è nulla di ‘giusto’ o ‘sbagliato’ in queste tecnologie e l’idea di autorialità non offre certo un appiglio: così come è accaduto per il diritto d’autore dobbiamo arrivare a un accordo, che, almeno negli intenti, non dovrebbe danneggiare né chi usa queste tecnologie né chi non le usa. Tornando a Manouach, leggo nel suo sito che la denuncia per Kats non è venuta da Spiegelman ma dalla Flammarion, l’azienda che detiene i diritti della versione francese di Maus. Voglio pensare che non sia stato l’artista di Maus a sentirsi violato, ma che, come spesso accade, si siano mossi gli interessi delle grandi corporazioni – ecco, è esattamente questo che vorrei evitare, che ad avere il maggior guadagno e minor danno non sia chi usa o rifiuta le TTI per il proprio lavoro, ma, come sempre, le grandi aziende.
[1] E proseguiva: «Questa non è, come qualcuno potrebbe credere, una semplice battuta d’entrata, ma, piuttosto, forse, l’unica definizione accettabile e verificabile del concetto di arte. Una tale definizione, la più valida, volendo, anche sulla base di note teorie di logica contemporanea, non è neppure tautologica. Essa possiede, anzitutto, una salutare validità negativa: quella di impedire che si vada alla ricerca di una definizione “reale” di essenza o di qualche essere nascosto, come per secoli tutte le poetiche hanno fatto, sostenendo che l’arte è intuizione o che l’arte è forma, o che l’arte è idea o che è preghiera, che è questo o che è quest’altro, sempre nell’illusione veramente donchisciottesca, da parte di ciascuna posizione, di avere essa, e non le altre, infilzato, con la lancia acuminata del proprio sistema concettuale, l’universalità stessa dell’arte, tutta l’arte e per sempre. (Arte, Enciclopedia filosofica ISEDI, Dino Formaggio, 1973).
Nota: Tutte le immagini appartengono alla serie “Giovanna D’Arco” e sono state create dall’autore attraverso l’utilizzo di DiffusionBee