Letture per tornare a fare a botte
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Qualche giorno fa ho pubblicato un articolo sul sito L’Indiscreto che intitolato Letture per tornare a dialogare: partendo dall’assunto che i social sono diventati ormai irrespirabili, molto più simili a una fogna a cielo aperto che a un’agorà di illuminati, ho inteso indicare come riferimento alcuni testi che, pur esprimendo idee anche diverse dalle mie, mi sembravano un ottimo esempio di esposizione ragionata, costruita su argomentazioni solide.
Insomma, il contrario delle polemiche attuali, da alcune persone vissute come una sorta di “stanza della rabbia” dove sfogare il proprio ego represso, da altre come una sorta di gioco della sedia dove sbrigarsi prima degli altri a dire la cosa (a seconda del posizionamento scelto per il proprio ruolo di influencer intellettuale) più inclusiva o più scorretta, più femminista o più “basata”. Il risultato è una serie di dialoghi fra sordi, sterili e noiose.
Proprio per questo, non vorrei mai che il mio tentativo potesse essere interpretato come una sorta di pavido invito alla diplomazia, di buonismo alla “volemose bene”, di “tarallucci e vino” dialettico. In realtà, sarebbe bastato leggere la lista dei libri consigliati, fautori di posizioni radicali (era proprio quello il paradosso del titolo), per capire lo spirito del pezzo: La politica della rabbia di Franco Palazzi o Cosa è lo stato di eccezione di Mariano Croce e Andrea Salvatore (entrambi per Nottetempo) fin dal titolo si configurano come sassate contro le narrazioni dominanti che vorrebbero anestetizzare il conflitto sociale; Società segrete. Poteri occulti e complotti di Roberto Paura (Diarkos) e Complotti! da Qanon alla pandemia, cronache di un mondo capovolto di Leonardo Bianchi (minimum fax) denunciano, talvolta con sarcasmo, talvolta con drammatica urgenza, la più bieca e vile propaganda dal Dopoguerra in poi; L’alba dei nuovi dèi. Da Platone ai Big Data (Mondadori) di Maura Gancitano e Andrea Colamedici è il culmine di una serie di testi molto critici nei confronti dei vizi più diffusi tra gli intellettuali contemporanei.
Essendo però Gemelli (e questa è solo la prima pernacchia nei confronti dei dogmi materialisti alla Odifreddi tra quelle presenti in questo pezzo), mi è venuto spontaneo esplorare la tendenza opposta, per chiarire il punto: quelle letture sono utili per tornare a dialogare CON CHI SE LO MERITA.
In moltissimi casi, leggendo le prime pagine dei giornali o scorrendo le bacheche dei propri social (pur avendo personalmente una bolla varia quanto selettiva) viene una sana, possente, irrefrenabile, voglia di fare a botte.
E, attenzione, non solo quando si è investiti dalla feccia della propaganda fascistoide, dalla spocchia di certi finti liberali o dall’inettitudine cronica della sinistra parlamentare.
No, molto spesso il sangue al cervello, le bolle in faccia e le fitte al fegato me le fanno venire persone che, teoricamente, sullo scacchiere del political compass contemporaneo dovrebbero essere dalla “mia” parte.
Un misto di indignazione pavloviana instagrammabile e vittimismo isterico (sì, lo uso il termine, senza alcuna connotazione sessista, come posso usare “virile” anche riferendolo a una donna, la conoscenza delle etimologie deve aprire la mente, non chiuderla). Atteggiamenti senza alcun senso se non quello di accumulare likes e fare la figura della voce più “dura e pura”: comicamente paradossale come chi, spesso, urli contro il patriarcato e la fallocrazia si eserciti in una gara ben più vacua e infantile che quella sciocca e proverbiale tra adolescenti brufolosi negli spogliatoi maschili.
Quando Zerocalcare, nel maggio scorso, pubblicò su Internazionale la sua intelligente dissertazione sulla “dittatura immaginaria” del politicamente corretto la maggioranza della bolla radicale esultò per la prima parte in cui, giustamente, si deridevano le paranoie da boomer maschi etero cis (formula che ha un senso solo se non diventa un mantra o uno stigma) e si mostrava l’inconsistenza del timore di “non dire più niente” in un paese dove Giorgia Meloni e Matteo Salvini sono in testa ai sondaggi. Corretto. Peccato, che hanno fatto finta di non leggere la seconda e la terza parte, non solo due terzi dell’intervento ma, secondo me, anche le sezioni più feconde e stimolanti: soprattutto la seconda, quella dell’antitesi per intenderci, quella in cui Zero ricorda che “possiamo essere meno stupidi di un algoritmo” (è ridicolo che se cito Pianto antico di Carducci devo scrivere “sei ne la terra fredda, sei ne la terra ne**a, né il sol più ti rallegra, né ti risveglia amor” perché qualcuno potrebbe offendersi), che “la gogna pubblica fa schifo” (per tutti coloro che si sentono Angela Davis e sono solo la copia sbiadita di Selvaggia Lucarelli), che soprattutto (che il Dio in cui non credi ti benedica, Michè) che IL VITTIMISMO FA SCHIFO.
Se proprio dovete rubare le tecniche di propaganda peggiore ai fasci (la gogna, l’attacco ad personam, lo squadrismo mediatico) almeno non mascheratevi dietro al piagnisteo: capovolgendo una battuta di Buttafuoco (se proprio dobbiamo rubare dai fasci, rubiamo da quelli colti, non da Morisi) che citava una nota canzone di estrema destra, sono convinto che la sinistra ha incominciato a perdere quando ha smesso di ricordare che “nel dubbio, mena”.
Inutile sentirsi Simone De Beauvoir scandalizzandosi in diretta perché “cioè, raga, Checco Zalone troppo cringe” o giocarsi la carta dell’appartenenza a una minoranza per creare una asimmetria dialettica comoda quanto inutile: io sono la vittima, quindi se io ti insulto è un urlo di giustizia, se tu mi rispondi a tono è oppressione, è violenza, è stupro.
Ma che davvero?
Sono trucchetti da terza elementare.
Anzi, tornando al punto, se lo facevi alle elementari, guarda un po’, ti menavano.
Non sto facendo l’apologia del bullismo: sto dicendo che ai bulli per farti lasciar stare gli dovevi menare per primo.
Invece, stiamo diventando come le maestrine che davanti ai casi di bullismo pretendevano di “comprendere” la psicologia del “ragazzo difficile” che, poverino, esprimeva il suo disagio come poteva, ovvero molestando le compagne o rompendo gli occhiali ai compagni più mingherlini. Povero caso umano che, dopo aver subito con insofferenza la ramanzina, puntualmente tornava a picchiare i malcapitati incapaci di difendersi.
Se è vero che non c’è pace senza giustizia, allora che si lotti.
Si lotti senza piagnistei, senza moralismi, senza fare i custodi di un’ortodossia che si fonda sul relativismo.
Chesterton e Gramsci vi prenderebbero a schiaffi in modalità stereo, per una volta concordi.
C’è una crisi economica senza precedenti, il rischio di una guerra mondiale, il pianeta sta letteralmente prendendo fuoco e “le menti migliori della generazione” si sono ridotte a una selva di ditini alzati per un pronome, per un virgolettato da clickbait o per una battuta grossolana in un carrozzone nazional-popolare che fa tanto cool non guardare ma ancora più engagé commentare indignati.
Ci sono praterie per discorsi politici autenticamente di sinistra e abbiamo la peggiore destra degli ultimi quarant’anni in testa ai sondaggi.
“Ma questo è benaltrismo!”: ecco no, il benaltrismo è esattamente dire “Ma questo è benaltrismo”, diventato uno slogan social da sparare a caso come “E allora le foibe?”.
Anche perché, se proprio si vuole fare questa sfida puerile a chi ce l’ha più lungo (il curriculum da rivoluzionario), c’è un modo semplice per vincere: scollatevi dalla tastiera, sloggatevi da Instagram, prendete una bottiglia vetro di ripiena di liquido infiammabile, un fazzoletto, meglio se imbevuto d’olio, e alcuni accendini.
“O mio Dio, ma si stanno rimpiangendo gli anni’70!!!”: eh no, siete voi giocate a fare i rivoluzionari, non io.
Io vi consiglio letture per tornare a dialogare civilmente, a incontrare il punto di vista dell’altro su un terreno costruttivo, come dei bravi bimbi democratici e non-violenti.
Se invece volete tornare a fare a botte, ecco alcuni consigli di lettura:
- La serie Libertaria, a cura di Gian Piero De Bellis, della casa editrice che mi ospita in questo blog: impariamo da chi ha VERAMENTE lottato per gli “umiliati e offesi”, impariamo il coraggio, l’entusiasmo, l’ardore.
- Happy Diaz (Castelvecchi) e Movimento e stasi (industria e letteratura) di Massimo Palma: perché Genova 2001 non è mai finita e l’autore ce lo ricorda in prosa e poesia.
- Lenin oggi, Slavoj Žižek (Ponte alle Grazie): Žižek sa essere a volte adorabile, a volte irritante, proprio come la sua zeppola (io ho l’erre moscia quindi secondo l’attuale bon ton progressista posso concedermi il tongue shaming), ma almeno ha il pregio di ricordare a chi vuole fare la Rivoluzione quali sono gli esempi da seguire.
Ritengo, inoltre, essenziali per la formazione dei militanti della Nuova Rivoluzione la visione reiterata dei video non di Chomsky, non di Foucault, non di Toni Negri, bensì di Simone Cicalone, precisamente quelli di Scuola di botte: senza dubbio, sono molto più utili che i post indignati su quanto è sessista Amadeus.
P.S.
Perdonatemi, sto invecchiando, evidentemente.
Ormai, quando parlo di politica mi sento giovane solo quando leggo sulle mura della mia città qualche vecchia scritta poetica.
Ad esempio, quando sotto uno sbiadito insulto fascistoide ancora si legge:
SENZA PEZZO QUANNO VE PARE