Dall’individualismo alle individualità
di Pëtr Kropotkin, con un ritratto dell’autore di Gian Piero de Bellis
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Pëtr Kropotkin: un ritratto
di Gian Piero de Bellis
Molti studiosi dell’anarchia che ci hanno offerto un ritratto di Kropotkin, in particolare nei testi di storia dell’anarchia (Eltzbacher, Nettlau, Woodcock, Joll, Marshall, Préposiet) lo raffigurano come una persona gentile e mite. Il suo parlare di violenza rivoluzionaria era più che altro la manifestazione di un animo elevato e generoso che provava orrore per tutte le ingiustizie e voleva porvi rimedio al più presto.
Ma chi era Kropotkin?
Innanzitutto, era un principe in quanto nato in una famiglia della alta nobiltà russa. Da bambino paggio alla corte dell’Imperatore Alessandro II, poi la carriera militare come era destino dei membri delle classi elevate. Per rendersi utile decise di farsi inviare in Siberia dove, confrontato con la brutalità e ottusità della vita militare, iniziarono a formarsi le sue idee di umanista e rivoluzionario. In seguito, per alcuni anni, esploratore e geografo percorrendo vasti territori, fin nel cuore della Manciuria.
I suoi viaggi lo portarono poi in Svizzera dove scoprì la vita semplice e ricca di ideali degli orologiai del Jura, la loro Federazione anarchica e l’Associazione Internazionale dei Lavoratori. Da quel momento, come affermerà in seguito nelle sue memorie «dopo un soggiorno di qualche giorno in mezzo agli orologiai, le mie opinioni sul socialismo risultavano chiare. Ero un anarchico».
Di ritorno in Russia, inizia a diffondere queste sue nuove idee, viene arrestato per propaganda sovversiva e rinchiuso nella famigerata Fortezza di Pietro e Paolo. Poco prima del processo, trasferito in un’altra prigione, riuscirà a scappare con una fuga rocambolesca e per quarant’anni vivrà una vita intensa in vari paesi europei (Svizzera, Francia, Inghilterra).
Durante tutto questo periodo, sarà un diffusore instancabile della concezione anarchica che egli ha contribuito a sviluppare forse più di ogni altro.
E anche se talvolta le sue posizioni risultano per certi aspetti criticabili, quando, ad esempio, facendo eccezione al rifiuto totale degli anarchici nei confronti della guerra, si schiera dalla parte delle potenze alleate nella Prima guerra mondiale contro il militarismo prussiano, non possiamo affatto ignorare o peggio ancora rigettare il suo pensiero, tanto egli ha apportato di analisi interessanti e fruttuose a tutti gli individui amanti della libertà, che fossero o non fossero anarchici.
In particolare, due temi che egli tratta risultano essenziali per qualsiasi progetto di liberazione e di progresso: il superamento della divisione città/campagna e della divisione lavoro manuale/lavoro intellettuale.
Ancora oggi mi capita spesso di riprendere in mano il suo Fields, Factories and Workshops Tomorrow, con l’introduzione e i commenti di Colin Ward. Questo scritto mi ha entusiasmato a tal punto che ogni qualvolta trovo una vecchia edizione, da qualche parte, su una qualche bancarella di libri, non posso fare a meno di acquistarla.
Dopo lo scoppio della Rivoluzione, Kropotkin è tornato in Russia. Ben presto si è reso conto del tradimento degli ideali comunisti di cui era stato un acceso sostenitore. Ma il suo è un genuino comunismo, un comunismo anarchico che si basa sulla libertà per tutti e sulla individualità di ciascuno (individuation), come appare chiaramente nel testo di cui qui si presenta un estratto.
Sotto il potere dispotico di Lenin, gli anarchici sono finiti nelle prigioni se non addirittura di fronte a un plotone d’esecuzione. Altri anarchici dopo Kropotkin (Emma Goldman, Voline, Maximoff) descriveranno gli orrori del regime instaurato dai bolscevichi che non può certo essere qualificato con i termini di rivoluzione comunista.
L’8 febbraio 1921, Kropotkin muore nella città di Dmitrov. Ai suoi funerali partecipa una folla immensa composta anche da molti anarchici. Per loro è l’occasione di rendere omaggio ad una figura rimarchevole di essere umano e manifestare contro il potere bolscevico. Sarà questa l’ultima occasione che ciò sarà loro permesso in Russia.
Con la morte di Kropotkin, sia in Russia che altrove inizia quel lungo processo di discesa nell’oblio della concezione anarchica, sopraffatta dallo pseudo-marxismo dei partiti comunisti di impronta statal-nazionale che, sotto l’egida del Comintern, sorgeranno di lì a poco in vari paesi d’Europa.
Adesso, per tutti coloro che aspirano, progettano e operano per una società basata sulla libertà (assenza di dominio) e sull’equità (assenza di privilegi) è arrivato il momento di riportare quella concezione e quella pratica di nuovo sulla scena.
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Dall’individualismo alle individualità (1902)
di Pëtr Kropotkin
Quello che finora è stato chiamato “individualismo” non era altro che un egoismo idiota che porta all’indebolimento del singolo. Idiota, perché non si trattava affatto di individualismo. Non ha portato a quello che ci si era posti come obiettivo: lo sviluppo completo, ampio e perfettamente realizzabile dell’individualità. Nessuno, tranne Ibsen, è riuscito, mi sembra, ad elevarsi alla concezione del vero individualismo; e anche lui, dopo averlo intravisto attraverso una visione geniale, non è stato in grado di esprimerlo in modo comprensibile. Tuttavia, c’è in Ibsen una certa visione dell’individualismo futuro, che scorgo, e che consisterà nell’affermazione massima dell’individualità – così diversa dall’individualismo misantropo borghese come dal comunismo dei primi cristiani, e parimenti ostile ad entrambi, poiché entrambi sono di ostacolo al pieno sviluppo dell’individualità.
L’individualismo, che credo diventerà l’ideale della filosofia nel prossimo futuro, non cercherà la sua espressione nell’appropriazione di qualcosa di più di quanto spetta ad ogni individuo, come giusta parte, del patrimonio comune della produzione (l’unico patrimonio che la borghesia ha preso in considerazione); non consisterà nella creazione in tutto il mondo di una folla di schiavi al servizio della nazione eletta (individualismus o pro sibi Darwinianum o meglio Huxleianum)1; non sfocerà nell’individualismo sensuale e nella “liberazione dal bene e dal male”2, che alcuni anarchici francesi ci hanno propagandato – meschine riflessioni dei nostri padri, gli “esteti”, gli “ammiratori del bello”, i poeti che si ispirano alle figure di Byron e di Don Giovanni, che hanno predicato anch’essi questo tipo di individualismo. E non si baserà nemmeno sull’oppressione del vicino (individualismus Nietzscheanum)3 che riduce “la bella bestia bionda” allo stato di bue in un branco di buoi – ma su una sorta di individualismus4 o personalismus5 o pro sibi communisticum, che io vedo venire, e che cercherei di definire più precisamente se potessi dedicarvi il tempo necessario.
Ciò che è stato rappresentato finora come individualismo era qualcosa di miserabile, meschino, minuscolo – e ciò che è peggio, contenente in sé la negazione dello scopo, l’impoverimento dell’individualità, o almeno, la negazione di ciò che è necessario per ottenere la più completa fioritura dell’individuo. Abbiamo visto re che erano ricchi e si ingozzavano per passare il tempo, e ci si è affrettati a rappresentare l’individualismo come la tendenza a diventare ricchi come un re, circondati da schiavi come un re, vezzeggiati dalle donne (quali donne! chi le vorrebbe tali donne?) come un re, mangiando lingue di usignolo (fredde e sempre con la stessa salsa!) in piatti d’oro o d’argento, come un re! Eppure, cosa vi è al mondo di più banalmente borghese di un re! E, peggio ancora, qualcuno più schiavo di un re!
La “bestia bionda“ di Nietzsche mi fa ridere6. Eppure, grazie a tutta una fraseologia perversa prodotta dalla letteratura dell’epoca (gli anni dal 1820 al 1830) questi signori esteti volevano farvi credere che essi rappresentavano un tipo superiore di umanità. E noi continuiamo a ritenere ingenuamente che quei signori che chiedevano di poter abusare dei piaceri (“A me i piaceri!” recita un’aria del “Faust” di Gounod)7, abbiano rappresentato uno sviluppo superiore dell’individualità, il progresso, un desideratum – le perle della razza umana! …
Fino ad ora, a questi sostenitori dell’individualismo si è opposto solo il predicatore cristiano, che invitava all’annientamento della personalità. Quindi essi avevano buon gioco. Demolendo il cristianesimo, Nietzsche, dopo Fourier, compie un lavoro superbo. È la stessa cosa di quando si opponeva all’egoista, l’altruista, e il primo faceva bella figura nel dimostrare che anche l’altruista era guidato dall’egoismo. Invece, all’egoista idiota, incapace di comprendere il proprio interesse e simile a quel re Zulu che credeva di “affermare la propria personalità” mangiando 1/4 di bue al giorno, era necessario opporre (come ha fatto Tchernychevsky)8 l’egoista perfetto. In altri termini, il “realista pensante” di Pisarev9, che è stato capace di un bene sociale infinitamente più grande dei più forti altruisti cristiani o comtiani10 – pur affermando e sapendo di essere sempre guidato da null’altro che dall’egoismo.
Da queste poche e rapide indicazioni capirete probabilmente cosa intendo per personalismus o pro sibi communisticum: l’individualità che raggiunge il più alto sviluppo personale possibile, attraverso la pratica, per ciò che concerne quei pochi bisogni fondamentali, e che, nelle sue relazioni con gli altri, in generale, esprime la più alta socialità comunista. Il borghese aveva affermato che per l’emergere della sua personalità aveva bisogno di schiavi, che doveva sacrificare gli altri (non sé stesso, ecc….), e il risultato è stato la riduzione delle individualità, come ben appare nella attuale società borghese. È questo l’individualismo?!! …. Oh, quanto ne avrebbe riso Goethe, dotato di una vera individualità! Ma prendete in esame Goethe stesso, questa individualità così fortemente marcata. Se avesse avuto un compito da eseguire insieme ad altri, si sarebbe tirato indietro? No. Avrebbe reso felici i suoi compagni di lavoro! Avrebbe portato in quella sua attività una enorme gioia di vivere, allegria, vivacità, spirito comunitario e socievolezza. E, al tempo stesso, non avrebbe perso nulla della sua immensa capacità poetica e filosofica: sarebbe risultato ancora una volta vittorioso, sviluppando un nuovo aspetto del genio umano. Osservate la sua gioia nello sperimentare l’aiuto reciproco, la gioia di godere del compimento di un’opera in comune. La sua persona, la sua individualità, sviluppandosi in tal modo in questa nuova direzione (nulla di umano gli era estraneo), avrebbe aggiunto un’altra corda agli accordi del suo strumento. E ho conosciuto, nella vita delle comunità russe, queste individualità che, pur essendo quelle che i russi chiamano mirskoi tchelovek (persone comuni) nel pieno senso del termine, erano anche personalità singole che hanno rotto con tutti i pregiudizi del loro villaggio e hanno camminato da soli, per la loro strada – che si trattasse di una rivolta politica individuale, di una rivolta della morale personale, di una rivolta antireligiosa, di una faccenda amorosa, o altro.
Ecco perché l’individualismo di cui i giovani anarchici francesi ci hanno parlato per un po’ di tempo, lo trovo meschino, piccolo e falso, perché non coglie proprio l’obiettivo che si prefigge. E tutto ciò risuona al mio orecchio ancora più falso e stonato perché vi erano allora individui che, in quello stesso momento, stavano consapevolmente salendo sul patibolo per la causa comune, dopo aver affermato con forza la loro personalità. È solo perché il concetto di “individualismo” è così poco compreso che altri, definendosi individualisti, hanno creduto di appartenere alla stessa sfera intellettuale e politica di questi esseri che hanno sacrificato la loro vita.
Note del traduttore
1) Kropotkin fa qui riferimento al pensiero di Charles Darwin (1809-1882) sulla selezione naturale e la lotta per la sopravvivenza. Il più acceso sostenitore di Darwin fu, a quei tempi, Thomas Huxley (1825-1895) da cui il termine Huxleianum utilizzato da Kropotkin.
2) Al di là del bene e del male è il titolo di un saggio di Friedrich Nietzsche pubblicato nel 1886.
3) L’interpretazione corrente del pensiero di Nietzsche era che esso poggiasse su un estremo egoismo che arrivava a giustificare lo sfruttamento e l’oppressione dei più deboli.
4) Molti pensatori, tra cui Carl Gustav Jung, svilupperanno il concetto di “individuation” (individuazione). Per Jung, esso “in generale, è il processo attraverso il quale gli esseri individuali si formano e si differenziano [dagli altri esseri umani]; in particolare, è lo sviluppo dell’individuo psicologico come essere distinto dalla psicologia generale e collettiva”. (Tipi psicologici, 1921)
5) Emmanuel Mounier (1905-1950) pensatore cattolico, svilupperà alcuni decenni più tardi il concetto di Personalismo, basato sul rispetto e sullo sviluppo della persona umana, al di là dell’individualismo egoistico liberale e dello statismo comunista e fascista.
6) Nietzsche fa allusione alla “bestia bionda” nel suo scritto Genealogia della morale (1887). Il concetto è stato inteso sia in termini biologici (l’essere umano superiore di razza bianca) che in termini psicologici (l’essere umano audace e intraprendente, che non si accontenta di una vita comoda).
7) Il Faust è un’opera in cinque atti del compositore francese Charles Gounod (1818-1893).
8) Nikolaï Gavrilovitch Tchernychevski (1828-1889) scrittore e filosofo russo che nella sua opera più famosa (Che fare?, 1863) descrisse personaggi caratterizzati da una forte personalità, il cui sviluppo favorisce e promuove, al tempo stesso, quello delle persone attorno a loro.
9) Dmitry Ivanovich Pisarev (1840-1868) scrittore e critico sociale russo.
10) Auguste Comte (1798-1857) filosofo francese, fondatore del positivismo.