Sullo Stato
di Max Stirner
Mentre continua la prevendita di Libertaria 2, presentiamo oggi uno dei saggi cruciali dell’antologia, curata da Gian Piero de Bellis, di Max Stirner!
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La borghesia non è altro che l’idea che lo Stato sia, tutto sommato, il vero essere umano, e che il valore del singolo consista nell’essere un cittadino dello Stato. Essere un buon cittadino, questo è per il borghese l’onore più ambìto; al di là di ciò egli non vede nulla di più elevato, se non forse il tradizionale valore di essere un buon cristiano.
La borghesia si sviluppò nella lotta contro i ceti privilegiati, dai quali veniva sfrontatamente considerata “terzo stato” e assimilata alle “canaglie”. Sino allora, dunque, nello Stato non si era considerati tutti di pari livello. Al figlio del nobile erano riservate le alte cariche, alle quali invano ambivano i migliori esponenti della borghesia, e così via.
Contro ciò si sollevò il sentimento borghese. Nessuna distinzione e nessun trattamento preferenziale fra le persone, nessuna differenza di status! Si è tutti uguali! E non si devono più perseguire interessi particolari, ma l’interesse generale di tutti. Lo Stato deve essere una comunità di individui liberi e uguali, e ognuno deve consacrarsi al “Bene Comune”. Crescere nello Stato e farne il proprio fine e ideale. Così risuonava l’appello generale, e si iniziò a ricercare il “vero ordinamento dello Stato”, la migliore costituzione, lo Stato quindi nella sua forma più splendente.
L’idea dello Stato penetrò in tutti i cuori e ne risvegliò l’entusiasmo; servire questo Dio secolare, divenne il nuovo rito e il nuovo culto. Iniziava, infine, la vera Era Politica. Servire lo Stato o la Nazione divenne il più sublime degli ideali; l’interesse dello Stato diventò il supremo interesse, il servizio allo Stato (e non era neppure necessario esserne un funzionario) l’onore più grande. Così furono messi al bando gli interessi particolari e le individualità, e sacrificarsi per lo Stato divenne la nuova parola d’ordine.
Bisogna annullarsi e vivere solo per lo Stato. Bisogna operare disinteressatamente, non bisogna cercare il proprio vantaggio ma quello dello Stato. Questi è divenuto infine l’entità reale dinanzi alla quale scompare la personalità del singolo: non io vivo ma è lui che vive in me!
Contro l’antico interesse personale si difendeva ora l’altruismo e la non-personalità. Dinnanzi a questo Dio-Stato si dileguava ogni egoismo e tutti diventavano uguali, senza distinzioni: uomini, null’altro che uomini.
L’esplosiva materia della proprietà accese la rivoluzione. Il Governo aveva bisogno di denaro. Ora doveva provare la tesi che egli era l’assoluto proprietario di tutti i beni, l’unico padrone. Doveva prendersi il suo denaro, quello che era in possesso dei suoi sudditi che non ne erano i proprietari. Per farselo dare convoca allora gli Stati Generali. Il timore delle conseguenze ultime distrusse l’illusione di un Governo assoluto: chi ha bisogno di farsi accordare qualcosa, non può esser considerato assoluto. I sudditi riconobbero che essi erano i proprietari legittimi e che a loro apparteneva quel denaro che veniva richiesto.
Bailly descrive ciò in poche parole: «Se non potete disporre della mia proprietà senza il mio consenso, tanto meno potrete disporre della mia persona e di tutto ciò che riguarda la mia condizione spirituale e sociale! Tutto questo mi appartiene, come il pezzo di terra che io coltivo, e ho il diritto, come pure l’interesse, di fare io stesso le leggi». Certo, dalle parole di Bailly si sarebbe potuto arguire che ciascuno fosse proprietario. Invece, in luogo del governo o del principe, subentrò quale proprietaria e signora la Nazione. Da questo momento l’ideale si chiama “Libertà del Popolo – un Popolo Libero”, eccetera.
Già l’8 luglio 1789, la dichiarazione del vescovo di Autun distrusse l’illusione che ciascuno, individualmente, potesse avere un ruolo importante nella legislazione e mostrò la totale impotenza dei committenti: la maggioranza dei rappresentanti diventava padrona. Quando il 9 luglio viene presentato il progetto sulla divisione dei lavori della costituzione, Mirabeau3 osserva: «Il governo possiede solo il Potere, nessun diritto; solo nel popolo si trova la fonte di ogni diritto». Il 16 luglio lo stesso Mirabeau esclama: «Non è il popolo la fonte d’ogni potere?».
Dunque la fonte di ogni diritto e la fonte di ogni potere! Detto fra le righe, qui emerge che il contenuto del “Diritto” è il Potere. “Chi ha il Potere ha il Diritto”!
La borghesia è l’erede dei ceti privilegiati. Di fatto, i diritti che furono tolti ai baroni in quanto “usurpazioni”, furono dati alla classe borghese, e questo poiché la borghesia si chiamava ormai Nazione.
Tutti i privilegi furono consegnati nelle mani della “Nazione” ed essi cessarono d’esser chiamati “privilegi” per diventare “diritti”. Da allora la Nazione esige le imposte e il lavoro obbligatorio; essa ha ereditato il diritto di signoria, il diritto di caccia, il dominio sui sudditi. La notte del 4 agosto 17894 segnò la morte dei privilegi (anche le città, i comuni, i magistrati godevano di privilegi e diritti di signoria) e sorse la nuova alba del “diritto”, dei “diritti dello Stato”, dei “diritti della Nazione”
Il monarca nella persona del “Re” era stato un governante ben meschino in confronto a questo nuovo monarca, la “Nazione sovrana”. Questa Monarchia era mille volte più dura, più rigorosa e conseguente. Al nuovo monarca non poteva opporsi alcun diritto, alcun privilegio; quanto limitato appare in confronto “il potere assoluto” dell’antico regime! La rivoluzione effettuò la trasformazione della monarchia limitata in monarchia assoluta. D’ora innanzi, ogni diritto, che non emana da questo nuovo monarca, diventa “una pretesa”, ma ogni privilegio che esso conferisce è “un diritto”.
I tempi aspiravano ad un regno assoluto e ad una monarchia assoluta; per questo venne meno quel cosiddetto regno assoluto, che così poco aveva saputo esserlo, tanto da farsi limitare da mille piccoli signorotti.
La borghesia ha dato vita a quello che era stato il desiderio e l’aspirazione dei secoli, la ricerca, cioè, d’un padrone assoluto, al cui fianco non ci fossero altri signori e signorotti che ne limitassero il potere. Essa ha generato il Padrone che è l’unico a dispensare titoli legalmente validi, e senza la cui concessione nulla ha “valore legale”.
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La monarchia delle corporazioni (così chiamerò la monarchia assoluta, l’età dei re, prima della rivoluzione) sottometteva il singolo a mille altre piccole monarchie; esse erano consorzi (compagnie) come le corporazioni artigiane, la nobiltà, il clero, la borghesia, le città, le comunità, e così via. In ogni luogo, il singolo doveva considerarsi anzitutto come un membro di questa piccola società, doveva obbedire allo spirito della stessa e al suo ideale associativo, come suo monarca. Alla stessa maniera, per esempio, del singolo nobile che prima di sé stesso doveva onorare la sua famiglia e la sua cerchia. Soltanto tramite la corporazione e il gruppo di appartenenza il singolo poteva avere dei rapporti con la corporazione maggiore, lo Stato; alla stessa guisa che nel cattolicesimo il singolo comunicava con Dio per mezzo del prete. A ciò pose fine il Terzo Stato, negando arditamente d’essere, egli stesso, uno Stato. Decise di non essere né di chiamarsi classe a fianco di altre classi, ma di trasfigurarsi in “Nazione”. Con ciò ha generato una monarchia molto più perfetta e assoluta, nella quale scompare il principio delle piccole monarchie all’interno di quella più grande.
Non si può però affermare che la rivoluzione sia stata diretta contro i primi due ceti privilegiati; essa intese eliminare soprattutto le piccole monarchie. Ma infranto il dispotismo dei ceti privilegiati (anche il Re non era che il Re delle corporazioni, non un Re borghese) rimanevano gli individui sottratti al giogo dell’ineguaglianza di classe. Dovevano essi davvero restare senza classi e legami, senza status e vincolo? No, perché, non per altro, il Terzo Stato si era dichiarato Nazione, non per restare stato fra gli altri stati, bensì per diventare l’unico Stato. Questo unico Stato è la Nazione, lo “Stato” per eccellenza (Status). Che cosa è divenuto allora il “singolo individuo”? Un protestante politico, poiché era entrato in rapporto diretto col suo Dio, lo Stato. Egli non era più un nobile in una monarchia aristocratica, non era più un artigiano in una monarchia di corporazioni, bensì Egli, come Tutti gli altri, non riconosceva che un padrone unico, lo Stato, dal quale tutti, senza eccezione, hanno ottenuto il titolo onorifico di “cittadini”.
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Lo Stato è fondato sulla schiavitù del lavoro. Quando il lavoro sarà libero, lo Stato sarà perduto.