Silenzio!
Nel 1989, in Italia uscì una raccolta di racconti che destò scalpore, tanto che il parlamento italiano si prese la briga di censurarlo.
Questa raccolta di racconti è Primi delitti, di Paolo Di Orazio, e Silenzio! è uno dei racconti che compone l’opera!
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Il Grido.
Magnifico, padre mio, stupendo. È stato molto bello, ma ora basta così. Sono felice per il dono che mi hai fatto. Cercherò di non dimenticarlo mai.
Cronaca. Francia. In manette anche la moglie dell’assassino della piccola Dorothy. Bomba umana, olocausto a scuola. Schiacciata dal trattore: è omicidio passionale.
No, mamma, aspetta. La pasticca, quando avrò finito di leggere.
Puttana di una pasticca. Ha un buon sapore, ma so che non servirà mai a nulla. Lo so. Non cambierà mai nulla.
Enigma sull’uomo divorato dai propri maiali. Impiccati altri diciotto trafficanti di droga in Iran.
Che rumore fa un uomo che viene impiccato? Un rumore che sente solo lui, dentro la testa. Griderà? E che suono faranno le ossa frantumate tra i denti, che cosa sentirà il maiale nella propria testa, quando sbrana una bestia?
Oh, mamma, non la voglio adesso, la pasticca! Non puoi aspettare un attimo? Cosa vuoi che succeda se la prendo tra cinque minuti?
Quattro balene agonizzano sulla riva.
Basta, ora, con la cronaca. Troppa violenza di scarso interesse. Voltiamo pagina.
Musica & Spettacoli. Ecco qua. Yorgos l’insuperabile e Rossini, trionfo sicuro in Zelmira, 13ª edizione, dal 16 Giugno al Teatro Amadeus.
Bravo, padre mio. Sei il più grande, il più forte di tutti, sono fiero di te.
Va bene, mamma. Ora posso prendere la tua stupidissima pasticca.
Yorgos Marakis, il nome della lirica greca che fa commuovere il mondo. Questi è mio padre. Ed è così assurdo che io sia figlio suo. A quanto pare non ho ereditato nulla di buono da lui, né voce, né musica, niente. Zero, silenzio. Solo una spiccata intelligenza e una montagna di fottute pasticche rosse da ingoiare.
La mia intelligenza.
Me la sono fatta da solo, e nessuno può sapere a quali livelli io l’abbia innalzata. La tengo segreta a tutto il mondo esterno. Mio padre e mia madre sanno bene perché e rispetteranno questa mia volontà.
L’unica cosa che sicuramente ho ereditato da mio padre Yorgos è un cromosoma mutante che a lui, portatore sano, ha conferito talento artistico, e a me l’anarchia dell’ipofisi. Ho tanti di quei problemi psicofisici che, se mi guardo allo specchio, stento a credere che all’interno di quel riflesso deforme ci sia io, ci sia una mente eccelsa come la mia.
I dottori. Si vede che non capiscono nulla, si vede che non hanno letto nulla; io non sarei di sicuro uno stupido dottore. Io so meglio di loro, e di tutti, che queste pasticche non servono a nulla. Io leggo, io mi informo.
Per tutti, anche per quella progenie di ipocriti che fingono di accettarmi come persona normale, io sono un triste diversamente abile dall’aspetto rivoltante; ma io possiedo una mente superiore. Io so.
Io mi diverto ad anticipare i risultati dei disastri ecologici, per esempio. Per quest’anno avevo calcolato, col solo margine del 2% di errore, le giornate alluvionali di tutta Europa. Se può interessarvi, ho già previsto il livello a cui gli oceani saranno portati dall’effetto serra nel giugno 2372, ma non lo dirò, tanto non fregherebbe nulla a nessuno. Terre, nazioni e popolazioni, reclamizzate oggi dalle agenzie turistiche di tutto il mondo, diverranno nuove, leggendarie atlantidi da poter visitare e commemorare solo tramite foto di repertorio e speciali programmi di riproduzione iconografica virtuale. Niente più.
I resti umani sommersi costituiranno un nuovo serbatoio di similplancton per almeno due secoli e mezzo, che nutrirà la fauna ittica tanto da incrementare nuovamente quelle popolazioni animali decimate dall’azione commerciale e inquinante dell’uomo.
Il Grido.
Magnifico, papà, stupendo. Nel mio pensiero replicherò la tua voce all’infinito.
Questo grido, tutto per me, dal grande nome della canzone lirica greca. E non ho pagato alcun biglietto. Sei grande, papà. Formidabile.
Un’altra pasticca? Ma non è la terza che prendo, oggi?
Mia madre mi fa cenno con lo sguardo di non barare.
Le sue dita mi appoggiano la pasticca sulle labbra, poi mi porge l’acqua. Okay, bevo, ma non solo per mandare giù la pasticca. Più che altro ho sete. Fa molto caldo, qui ad Altamura; preferisco Capo Sounion, dove sono nato e dove ora abbiamo una magnifica villa per quando papà non è in tournée. Ho pochi amici, loro mi vogliono bene, ma io li odio. Io non sono come loro, loro non hanno Yorgos Marakis come padre, prima di tutto. Poi, non sono costretti a prendere pasticche rosse. Su tutto, non possiedono un cervello pari al mio.
No, preferisco Capo Sounion, dove papà mi porta a vedere il tramonto, quando il Sole è rosso come le mie pasticche. Il Sole però è caldo, e non lo devo ingoiare con un bicchiere d’acqua. Il Sole sta lì, non esiste il problema di sentirlo parlare, lo si ascolta con la pelle. Cazzate. In realtà non me ne frega nulla di niente. Tanto il Sole, prima o poi, si spegnerà. Quando io fisicamente non ci sarò più. Ho letto che il Sole un giorno esploderà. Però non ci sarà rumore, poiché il suono non si propaga attraverso lo spazio.
Forse potrò solo guardarlo, ammesso, come credo, che la mia intelligenza sopravviva in qualche modo al corpo.
Mi ci porterai, papà, a Capo Sounion, prima della tua tredicesima replica? Vorrei ascoltarti prima degli altri, di quelli che pagano il biglietto e che non prendono pasticche rosse.
Ormai sono due giorni che non canti e dovresti provarci, per me.
Ti prego, io non posso venire a teatro, lo sai.
Il Grido.
Sensazionale, papà, unico. Sei un papà unico al mondo! Metterò questo grido nel mio cassetto e lo replicherò nella mia mente non tredici, ma tredici milioni di miliardi di volte. È così bella, la tua voce, mi fa sentire che esisti realmente e che tutto ciò che vedo è reale. Reale come il Sole e le pasticche.
Via tutti gli oggetti inutili, questo è il cassetto del Grido di Yorgos. La sua bocca. Si apre e mi fa sentire l’urlo. In qualsiasi momento vorrò, sarà come vedere di nuovo la tua bocca aprirsi e lanciare il tuo
Grido
proprio come quel grande giorno a Capo Sounion.
Il più bel giorno della mia vita. La tua più apprezzata esibizione vocale.
La voce.
(Il Suo Grido)
Viaggia a 1000 km/h e il volume, espresso in decibel, è proporzionale alla capacità respiratoria. Le frequenze più alte corrispondono al Do di 2.069 vibrazioni, nota raggiungibile soltanto da un soprano notevolmente potente.
Altroché. Yorgos Marakis è un tenore, ed è più che notevolmente potente. E la sua voce ha un registro talmente ampio e potente da coprire qualsiasi alta frequenza elevata. Mio padre può raggiungere note dalla frequenza altissima, a volumi che non rientrano nei suoi piani di esecuzione.
Ma io so come fargli raggiungere il massimo.
Yorgos Marakis è mio padre e me lo concederà.
Caro Papà,
dopodomani sarà il mio tredicesimo compleanno e vorrei un regalo speciale. Mi piacerebbe stare solo con te, a Capo Sounion, alle tredici in punto, prima della tua tredicesima replica. Pensa quanta fortuna, con tutti questi tredici! Io e te da soli, di fronte al Sole. Alle tredici in punto vorrei poter ascoltare la tua voce alla massima potenza, in anteprima mondiale. Ti prometto che, nonostante i problemi oggettivi, ascolterò con la massima attenzione. So che potremo farlo.
Grazie dal tuo più grande fan, tuo figlio Sim
Altamura, 11 Giugno 1990
Un bel biglietto. Papà ha sempre amato la mia calligrafia e accetterà la mia proposta. Poi potrò mangiarmi tutte le pasticche rosse del mondo.
Il Grido.
Eccezionale, papà! Tu questo non lo hai mai fatto ascoltare a nessuno. Lo conserverò nel mio cassetto e lo riascolterò tante volte, a un volume ancora più alto, tanto da essere costretto a tapparmi le orecchie.
Mio amatissimo Sim,
accetto di buon grado la tua proposta, anche se non posso nasconderti una certa perplessità. Comunque, per amor tuo, cercherò di esaudire questo e altri desideri che tu voglia esprimermi, l’importante per me è la tua gioia. L’idea comunque mi piace, e poi lo sai che amo improvvisare viaggi. Solo non capisco perché tu abbia escluso la presenza della mamma. Lo sai che ti vuole bene. Anch’io te ne voglio, e molto, ed è per questo che le dirò che partiremo domattina presto, per sbrigare alcune noiosissime faccende burocratiche alla Garden Sound di Atene. Le dirò che torneremo in serata, per festeggiare tutti insieme con una grande cena. Con l’aereo dovremmo farcela. Contento?
Yorgos, la voce nel tuo cuore
Altamura, 12 Giugno 1990
Il Grido.
Sei il migliore papà. Una grande voce. Un’atomica nella mia testa.
Caro Papà,
ora che siamo a Capo Sounion, devo comunicarti una novità. Si tratta di un piccolo chiarimento riguardo al mio regalo. Questo, per me, deve rimanere un dono eterno ed è l’unica cosa che io possa ereditare realmente da te, l’unica che io desidero realmente con tutto il cuore.
Sai, io non ho un futuro e ne sono consapevole. I dottori non me lo dicono, e forse neanche tu e la mamma lo direte mai.
Ho studiato la mia malattia genetica da solo, investigando su internet – mentre voi immaginavate che io stessi giocando – le banche dati delle riviste scientifiche specializzate di tutto il mondo. Mi sono informato. Ho anche dialogato via telematica con uno specialista americano in eugenetica. Il cromosoma che mi ha reso malato continuerà a confondere le mie strutture psicofisiche con un’azione esponenziale, fino a portarmi alla follia e alla morte entro massimo il ventesimo anno d’età. Lo sapevi? Penso di sì. Be’, io no ma ho fatto da solo, non importa. Devo dire, mi sento molto meglio, adesso. Quindi, come vedi, c’è da estinguere un grosso debito, nei miei confronti.
Io non ho molto tempo da vivere.
Quindi, voglio portare via con me una cosa sola.
Può essere festa per me tutti i giorni, puoi portarmi in giro per tutto il mondo, puoi regalarmi una villa, un cavallo, ma io sarò sempre più triste, sempre più solo, man mano che si avvicina la mia fine. Io sono solo, in realtà. Perdonatemi, tu e la mamma, ma sento che è così.
Io devo avere la tua voce per aprire un varco fra i nostri mondi. Tu puoi fare più delle pillole, ma dobbiamo farlo bene.
Ti prego, papà, questa è una richiesta che non posso fare alla vita, né alle pasticche, né a Dio. Ma solo a te.
Il tuo più grande fan, Sim
Capo Sounion, 13 Giugno 1990
Sta leggendo il messaggio mentre faccio finta di dormire, aspettando il pranzo. Siamo partiti alle sette, ed è plausibile che io abbia sonno.
Il Sole è allo zenit, è il mio compleanno.
Sono immerso in un silenzio assoluto, qui sulla veranda della villa. Abbiamo pranzato e mio padre sta riposando.
Io sono pronto.
Anche il Sole è già pronto a esplodere fra qualche secolo?
Si sveglia. Sorride, mio padre. Mi fa cenno che possiamo cominciare. Finiremo presto, anche se dall’espressione del suo volto capisco che non ha ben chiaro cosa stiamo per fare.
Saliamo nella sua stanza, dove nelle giornate di relax si dedica al modellismo. C’è ancora il Concorde che abbiamo costruito l’anno scorso, la Ferrari e lo Shuttle, il corpo umano. C’è Tutto. Fantastico! Sposto la sedia verso la vetrata, per vedere bene il Sole. La sedia è in legno pesante e ha i braccioli imbottiti. È una pazzia, quella che ho in mente? Forse, ma è tutto molto logico. Non c’è nessuna formula, nessun codice o valore morale che possa inibire le mie intenzioni. Non mi tremano le mani, non sudo, non provo nessuna particolare emozione, tranne l’ansia di ascoltare mio padre.
Invito Yorgos a sedere.
Lui mi guarda, amorevole, interrogativo.
Non c’è nessuna remora in me.
Sto facendo quanto di più concreto io possa fare. La mia intelligenza è tale da mettere al bando qualsiasi pudore, qualsiasi restrizione etica, qualsiasi compassione.
Scala graduata del dolore. Unità di misura: il DOL. Valori parametrici: da 1 a 10,5 DOL. Grado 6, soglia oltre la quale l’uomo arriva di rado nella vita. Grado 10,5: dolori del parto, espulsione di alcuni calcoli renali, bruciore di una sigaretta accesa schiacciata sulla pelle.
In definitiva, non è così difficile superare i 6 DOL.
Prendo una grossa spira di fil di ferro e un taglierino.
Yorgos ha un sobbalzo.
Gli intimo di non opporre resistenza. Se lui rifiuta, io mi taglio la gola. Anche se mio padre certe cose non le sa, io so dove e come colpire per morire prima di ricevere qualsiasi soccorso, ma mi basta il gesto per tenere Yorgos sotto controllo.
Ricordati che se anche mi restano sei o sette anni di vita, non mi interessa viverli in questo incubo. Se muoio ora non mi cambia nulla. Anzi, sarebbe molto bello e utile per tutti, soprattutto per me, dal momento che è così straziante ingerire l’ipocrisia di voi normali.
So benissimo che sei il tenore più potente del mondo, ma solo a modo mio possiamo ottenere quello di cui ho bisogno.
Stai tranquillo, e cerca di avere fiducia in me. Andrà tutto bene.
Gli avvolgo il fil di ferro attorno ai polsi e i braccioli della sedia con tredici giri. Tutto deve quadrare, anche cabalisticamente. Tra filo e pelle sistemo pezzi di cuoio, in modo da non ferire la cute. Stessa cosa faccio per le gambe. Lui è nervoso, ma cerca di sorridere, poi comincia a cantare, pompando coi polmoni tutta l’aria calda della Grecia.
Ora che è immobilizzato, è venuto il momento di spiegazioni più chiare.
So benissimo che sei il tenore più potente del mondo, ma solo con un po’ di dolore possiamo ottenere quello di cui ho bisogno.
Ora Yorgos suda e piange.
Scala del dolore. Da 1 a 10,5 DOL: ferite chirurgiche, dolori del cancro, attacchi cardiaci, ustioni, tumori cerebrali.
Lì sul tavolino c’è un trapano elettrico. Può bastare.
L’emissione di un alto grido è una delle reazioni più comuni al dolore. Il volume espresso in decibel è proporzionale alla capacità respiratoria.
Né io, né la mamma riusciamo ad abbracciare papà, tanto è ampia la sua cassa toracica. I cantanti lirici più sono dotati di cassa e diaframma e più sono potenti.
Attacco la spina del trapano, accendo. Papà sente il suo rumore e si volta di scatto. Non lo avrebbe immaginato. Lo regolo alla velocità minima. Il trapano vibra così forte che devo tenerlo con entrambe le mani. È una bella macchina.
Yorgos mi guarda terrorizzato, con gli occhi sgranati. Gli sorrido, lui cerca di sorridere e poi riprende a cantare. Muove la bocca a vuoto ma posso vedere gli spruzzi di saliva che brillano nel cono di luce dalla finestra. Sono le tredici del tredici. È il mio compleanno e sto per scartare il regalo più grande che io possa mai desiderare di ricevere.
Punto il trapano sul ginocchio sinistro, piegato e tondo come il Sole. Ce ne vorrà, a questo regime di giri, prima che la punta raggiunga le profondità dell’osso. È il momento.
La punta solca la carne, bruciandola. Il sangue schizza a fontana, sporcandomi. Osservo papà, il volto deformato dal dolore. Abbiamo percorso in rapida successione tutti i valori del dolore, da 1 a 14 DOL. La punta d’acciaio raggiunge finalmente il cuore dell’osso, avendo sbriciolato la sua resistenza dura.
L’odore è sgradevole.
Dal fondo di un baratro buio, la voce di Yorgos Marakis giunge finalmente al mio cervello, chiara, nitida, inedita.
Dalla sua bocca, un fiotto di sangue, come per sottoscrivere questo suono meraviglioso. Non lo dimenticherò mai, papà. Ma voglio di più.
Spingo il trapano, roteandolo per allargare il buco, sfondando persino la gamba della sedia. Mi fermo.
L’urlo di papà riecheggia ancora nella mia testa, quando mi accorgo che è morto.
Tutto quel grasso… già, papà mangiava troppo. Non è stato mai attento al colesterolo, per esempio. Troppo grasso fa male al cuore, lo indebolisce. Qualsiasi rivista scientifica può confermare.
Mio padre non ha retto al dolore.
Che mollusco di merda!
Lo choc del trauma è stato troppo forte per lui. Così hanno detto i legali, questi allocchi.
E invece mio padre poteva farcela.
Non doveva andare così.
Perché, papà? Perché?
Continuo ancora a prendere le pasticche, ma so che non serviranno mai a nulla. Per adesso, la morte di mio padre non è stata correlata a me. Ho sapientemente mascherato tutto in modo che sembrasse un incidente. Ho confuso le idee agli inquirenti, occultando ogni minima traccia o prova della mia intelligenza. Nessuno, mia madre compresa, potrà mai dire che un ragazzo malato di acromegalia ha ucciso il padre. Nessuno conosce il potere della mia mente.
Conservo ancora il regalo di papà, il suo grande urlo, una cosa che nessuno dei miei amici potrà mai sentire.
Il suo grido.
Un’inesauribile bolla d’aria da respirare in fondo all’oceano, tutte le volte che voglio, all’infinito.
No, mamma, non soffrire per me, per quello che è successo. Certo, abbiamo perso papà, io non ho saputo aiutarlo, non sapevo cosa fare. Papà è morto ma, anche se non lo fosse, io sarei comunque triste e solo.
Non sono un ragazzo normale e volevo essere diverso anche da quelli deformi e sordomuti come me, capisci?
Io sono il figlio di Yorgos Marakis, come avrei potuto vivere la mia breve vita senza poter mai ascoltare la sua voce?
Guarda, per farti contenta, stavolta ne prendo due assieme di pasticche, va bene?