Chi è stato Theodore John Kaczynski?
In occasione della pubblicazione del secondo volume di Theodore J. Kaczynski, Colpisci dove più fa male, D Editore ha pubblicato su D Zine la prefazione del primo volume della Freedom Club Collection, ossia La società industriale e il suo futuro.
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Per alcuni un criminale, uno spostato, un prodotto malato della società che è necessario nascondere. Possibilmente in gabbia: Unabomber. Per altri un filosofo, un martire, un oracolo che non può essere ignorato e con cui è necessario fare i conti. E forse imitare: Freedom Club. Ma anche: una figura pop, un meme, il perfetto soggetto per una sceneggiatura che vuole darsi un tono: #UncleTed (con tanto di hashtag).
Inquadrare Theodore John Kaczynski, l’anarchico che più di ogni altro in età contemporanea è vissuto tra mito e realtà, all’interno di schemi di qualsiasi natura è un compito quasi impossibile, perché lui ha in effetti impersonato molti dei ruoli che gli sono stati attribuiti: da quello di folle fanatico, eremita in fuga da una società che non è riuscita ad assorbirlo, a quello di guru, ispirazione per più di una generazione di ribelli che si è fatta sedurre dal suo messaggio. Ma è anche stato un uomo perfettamente conscio del potere dei media, senza i quali il suo manifesto non sarebbe mai diventato uno dei testi anarchici più letti. E fraintesi. Non è un caso se i personaggi ispirati alla sua figura abbondano sulle scrivanie di Hollywood.
Questa grande stratificazione e complessità rende l’atto di avvicinarsi a un documento come La società industriale e il suo futuro qualcosa di simile all’affondare nella storia e nella profezia.
Forse, chi tra voi non è a conoscenza degli eventi legati alla vita e all’opera dell’autore del libro che state leggendo penserà che queste mie parole eccedano in timore reverenziale. E forse chi lo pensa ha ragione. Ma per capire il perché dare alle stampe oggi un’ennesima edizione di La società industriale e il suo futuro è bene partire dagli elementi biografici, ossia dal cercare di rispondere alla domanda: chi era Ted Kaczynski?
Chi era Theodore John Kaczynski?
Affidarsi all’empatia nella scrittura saggistica può far cadere lo scrivente in errore, ma non credo di allontanarmi troppo dalla verità se affermo che è possibile capire molto di una persona dalle fotografie che la ritraggono. E, di Ted Kaczynski, ne esistono molte di fotografie. Ne possiamo trovare alcune in cui era un bambino. Di questa, una colpisce: Teddy, come veniva affettuosamente chiamato dai suoi genitori, è piccolissimo. Lo vediamo seduto vicino al suo amato fratello David, con un pappagallino sulla spalla. Sono entrambi sorridenti, ed entrambi guardano qualcuno fuori dall’obiettivo. Forse la madre? Aveva meno di dieci anni e, nonostante avesse già vissuto un evento traumatico, il mondo non doveva apparirgli ancora un luogo tanto spaventoso.
Vi è poi una foto di qualche anno più avanti: aveva venticinque anni, i capelli corti ben pettinati, la barba rasata e indossa giacca e cravatta. Sembra perfettamente integrato nel sistema in cui è inserito, quello dell’insegnamento e della ricerca in alcuni dei campi più avanzati della matematica alla Berkeley University. Anche in questa foto sorride, ma vi è un’ombra nel suo sguardo.
Era il 1968. L’anno seguente Kaczynski consegnerà una lettera di dimissioni alla sua università. Ad alcuni dei suoi colleghi spiegherà che la matematica era diventata un gioco che non lo divertiva più, alla famiglia che era stufo di formare gli ingegneri che un giorno avrebbero contribuito a distruggere la natura. Come già stavano facendo con le sue adorate montagne.
Vi è poi una terza foto (in realtà, vi sono molte terze foto). È stata scattata il giorno del suo arresto, nell’aprile del 1996. Ha lo sguardo perso nel vuoto, il volto inespressivo. Capelli e barba in disordine: un uomo completamente diverso da quello nella foto del 1968. Ammanettato, circondato da agenti federali, sembra essere trascinato da un fato che lui stesso aveva messo in moto quasi vent’anni prima.
Abbiamo poi una quarta foto. In questa lo vediamo rilassato e sorridente. Anzi, sembra proprio ridere di gusto. Era il 1999, è nella Supermax prison, istituto di detenzione di massima sicurezza a Florence, in Colorado. Indossa una tuta da detenuto; capelli e barba sono abbastanza curati. Sembra sereno. L’occasione per questo scatto è quella della prima intervista dal suo arresto, rilasciata a una Theresa Kintz, giornalista e attivista per Earth First! agli inizi della sua carriera. L’aveva contattata lo stesso Kaczynski, l’uomo che tutto il mondo avrebbe voluto intervistare. Possiamo solo immaginare quanto incredula ed emozionata potesse essere per aver avuto quell’opportunità.
Ci sarebbe molto da analizzare in queste foto, ma immagino che voi, lettrici e lettori, siate impazienti di arrivare al punto e di addentrarvi tra gli oscuri cunicoli del pensiero di Kaczynski. Mi limito a dire questo: gli scatti illustrati rappresentano quattro periodi della vita di Ted Kaczynski; la sua infanzia, la sua carriera da genio della matematica, il periodo vissuto nella natura selvaggia, la sua detenzione. Sarebbe pretenzioso affermare che queste quattro fotografie non sono state scelte per essere usate come aneddoti narrativi per introdurre a una serie di paragrafi relativi alla biografia di Kaczynski. Nondimeno, è vero che questi scatti dicono molto della sua vita. E quello di La società industriale e il suo futuro è uno di quei rari casi in cui l’opera non può essere affrontata, letta e compresa appieno senza prima avere bene a mente chi fosse l’autore.
L’infanzia e il periodo all’università
Partiamo dai dati biografici: nato a Chicago nel 1942, figlio di due immigrati polacchi, Kaczynski è stato fin da piccolissimo considerato un bambino dalle qualità intellettive superiori alla media: gli fu “misurato” un quoziente intellettivo di 165-170 all’età di dieci anni. Ma gli fu diagnosticata anche una malattia del sangue, in età ancora più tenera. Il piccolo Ted era un bambino vivace, sveglio e allegro, ma iniziò a chiudersi in sé stesso dopo che, per curare il suo male, fu tenuto in isolamento quasi totale, e senza un reale scopo terapeutico. La famiglia riporterà che l’unica ragione era da ritrovarsi nell’organizzazione interna nella struttura in cui era stato effettuato il ricovero. Ci vollero settimane prima che potesse tornare a casa, e altrettanto tempo prima che riuscisse a fidarsi dei genitori. Non riusciva neppure a guardarli negli occhi o a parlare con loro direttamente. La madre chiese molte volte a David di non lasciare mai solo il fratello: era terrorizzato dall’essere nuovamente abbandonato. Ironicamente, sarà lui ad abbandonare il mondo alle sue spalle.
Ted si isola sempre di più, cosa che convinse i genitori della possibilità che loro figlio fosse autistico. Decisero così di portarlo in un centro specializzato in analisi sull’autismo. Parliamo di anni in cui non vi era la stessa sensibilità sul tema che potremmo avere oggi, e non sappiamo a che tipo di test sia stato sottoposto il piccolo Teddy. Fatto sta che da questi test non emerse alcunché. Ma in quello stesso periodo, un ispettore scolastico, colpito dall’attitudine per la matematica del piccolo Ted, convinse i genitori a fargli saltare il primo anno della middle school. Ma siamo a Evergreen Park, un sobborgo borghese e chiuso di Chicago, e il fatto di essere un bambino più piccolo, ma soprattutto strano, lo rende il bersaglio perfetto per bulli e insulti di varia natura da parte dei bambini più grandi. Questa serie di eventi – la malattia, l’isolamento, il bullismo, il sospetto di essere sbagliato e la certezza di essere diverso – saranno poi descritti come di fondamentale importanza per il suo sviluppo come individuo.
È in questa fase che Teddy inizia a sviluppare una sorta di timore verso persone, macchine e edifici. Un timore che lo spinse a isolarsi sempre di più, e a immergersi e perdersi nella sua passione: la matematica, unica dimensione che riusciva a decifrare in un mondo che sembrava non volerlo accogliere.
Ma i suoi tormenti si attenuarono a quindici anni, quando gli fu concesso di saltare un altro anno e di iscriversi quindi, all’età di soli sedici anni, all’università di Harvard.
A Harvard, Kaczynski frequenterà le lezioni tenute dai più importanti matematici americani. Ma, soprattutto, diventerà una delle cavie per gli esperimenti psicologici dello psicologo Herny Murray e del progetto mk Ultra della cia.
Addentrarsi nelle specifiche tecniche di questo progetto è un’operazione quasi impossibile: tra ammissioni di colpa parziali, pile di documenti desecretati con pesanti censure e palesi teorie del complotto, la storia del progetto mk Ultra, come un po’ tutto ciò che riguarda questa storia, è qualcosa di complesso, misterioso e pieno di false piste. Qui ci limiteremo a dire questo: mk Ultra è il nome in codice dato a un programma clandestino del governo degli Stati Uniti che aveva l’obiettivo di comprendere i meccanismi della manipolazione umana, usando torture psicologiche, fisiche e droghe.
Sugli esperimenti effettivamente portati avanti dal dottor Murray si sa poco: qualche sbobinatura parziale, alcuni appunti, schede, ricevute per il compenso che Kaczynski riceveva dopo ogni seduta. Sappiamo che erano incentrati sull’indagine dei limiti dello stress cognitivo e psicologico negli esseri umani. Murray, con la supervisione diretta della cia, comunicava alle sue cavie umane che avrebbero osservato la sua reazione in un dibattito con un altro studente. Ma una volta presentatasi al laboratorio, la cavia veniva legata a una sedia e con una scusa puerile le veniva comunicato che il suo collega non si sarebbe presentato. Da qui, sarebbe partito un lungo e aggressivo attacco psicologico e cognitivo a cui la cavia doveva cercare di difendersi come poteva. L’ambiente era buio, con poche e forti luci puntate direttamente sul volto della cavia, che era posta di fronte a uno specchio semitrasparente. Il suo volto era infine ripreso con delle telecamere per registrare le reazioni facciali avute dopo ogni somministrazione di un attacco verbale. Vi dà fastidio la parola cavia? Be’, è quella utilizzata dal dottor Murray e da diversi suoi colleghi.
Kaczynski, all’inizio dell’esperimento, aveva solo diciassette anni.
Eppure, nonostante tutto, nonostante gli esperimenti, il suo passato doloroso e un suo progressivo autoisolamento, il dottor Kaczynski avrà una carriera accademica più che brillante. Salteremo velocemente gli anni dell’insegnamento, ma ci basta riportare due affermazioni di alcuni dei suoi colleghi e professori: «Non è abbastanza dire che fosse intelligente», dirà il professor George Piranian, mentre il suo relatore, il professor Maxwell Reade, dichiarerà in un’intervista, riguardo il suo lavoro di tesi, che «forse dieci o dodici persone nel paese la capirebbero e la potrebbero apprezzare». Era il periodo in cui suo padre scattò la fotografia poco sopra riportata, fuori dall’ateneo di Berkeley.
Ma senza alcun preavviso, nel 1969, Kaczynski inviò una stringata lettera di poche righe al suo responsabile:
Caro professor Addison,
Questa lettera è per informarla che rassegnerò le mie dimissioni alla fine di questo anno accademico. Perciò non tornerò nell’autunno del 1969.
Sinceramente vostro,
T. J. Kaczynski1
Poco dopo, nel 1971, Kaczynski si trasferì in una baracca di circa undici metri quadrati (circa tre metri per tre e sessanta), senza elettricità o acqua corrente, nei pressi di Lincoln, un piccolo paese nel Montana.
Stava per nascere il Freedom Club.
Il Freedom Club, Unabom, l’arresto
Per quanto possa sembrare strano, il periodo passato tra i boschi è incredibilmente documentato. Sappiamo tutto; o almeno, tutto ciò che Kaczynski ha ritenuto degno di essere riportato nei suoi diari. E ritenne che davvero molte cose fossero importanti abbastanza per essere annotate.
Sappiamo che cosa faceva Kaczynski pressoché ogni giorno: i piccoli lavori che svolgeva, gli appunti sul cibo con cui si nutriva (principalmente quello che riusciva a procurarsi cacciando e andando in giro nei boschi), i piccoli progetti di artigianato con cui si dilettava, i lavori saltuari che faceva per finanziare il suo stile di vita, l’unica ragazza con cui sia mai uscito e il sospetto della sua disforia di genere (tema che riprenderà come memorandum, datandolo al 19672).
Ma soprattutto, sappiamo dei suoi progetti dinamitardi e il progetto di un breve, incendiario, manifesto filosofico. Il testo che avete tra le mani è stato scritto, infatti, nel corso di diversi anni, e forse questo è stato il suo unico e più grande errore. Sì, perché se c’è una cosa che colpisce del periodo tra i boschi del Montana è la sua incredibile capacità di calcolare mosse e contromosse in una partita a scacchi con l’fbi durata quasi vent’anni. In un diario cifrato, Ted Kaczynski teneva nota dei vicoli ciechi verso cui spingeva le indagini: con stralci di lettere false inserite nei suoi pacchi bomba, usando caselle postali nei luoghi più disparati degli Stati Uniti, lasciando bombe inesplose con, nei meccanismi di innesco, peli trafugati da bagni pubblici, cambiando costantemente strategia di attacco e con una conoscenza quasi maniacale del funzionamento dello United States Postal Service, il sistema postale nazionale statunitense, cosa che lo renderà la famosa icona pop per cui è ormai globalmente conosciuto. Sarà questo il periodo in cui di Kaczynski si perderanno quasi le tracce (terrà corrispondenza solo con la famiglia e pochissimi amici e attivisti). Sarà questo il periodo in cui nasceranno Freedom Club (l’organizzazione anarchica con cui chiamava sé stesso) e Unabom (il nome in codice dell’operazione che l’fbi assegnerà al caso – da UNiversity and Airlain BOMber).
Di Kaczynski, per molto tempo, i media ignoreranno addirittura l’esistenza. Ma del Freedom Club, invece, no: saranno molte le lettere inviate a quotidiani, giornali, anche fanzine anarchiche e riviste scientifiche. Tutte firmate fc.
Si è molto speculato sulla natura di questo club: Kaczynski era da solo? Oppure aveva dei sodali in giro per gli Stati Uniti? Molto probabilmente la sua era un’attività solitaria, ma si sospetta che altri due attivisti, celati dietro i nomi di penna di Último Reducto e Green Anarchist, avessero in qualche modo a che fare con lui ben prima del suo arresto. Ma non vi sono prove né in un senso né in un altro, per cui sarà inutile discuterne, se non per dire quanto segue: il fatto che noi – al netto delle dichiarazioni dell’fbi – non abbiamo certezza dell’esistenza o meno di membri attivi – o di semplici free lancer – nel Freedom Club è indice dell’abilità con cui Kaczynski si è mosso negli anni.
Ma quali sono stati gli obiettivi dei suoi attacchi? Scienziati, personale aereo, comunicatori, informatici… Insomma, quello che lui individuò come i gangli del sistema tecnologico-industriale. Kaczynski era perfettamente cosciente di che cosa stava facendo: sapeva di essere un terrorista e sapeva che era proprio il terrore l’arma che stava utilizzando (in alcune lettere minatorie, intimerà direttamente ad alcuni scienziati di abbandonare il loro campo di studi – anche se probabilmente queste lettere rientrano nelle mille azioni di depistaggio condotte nel tempo), ma soprattutto sapeva quando sarebbe arrivato il momento di offrire il suo messaggio al mondo.
Nel 1995, in una lettera indirizzata a Warren Hoge, giornalista del New York Times (e qui riportata per intero), il Freedom Club fa la sua richiesta: «Pubblicate un nostro saggio di circa 35.000 battute e noi interromperemo i nostri attacchi». La lettera verrà poi pubblicata – in formato parziale – il 26 aprile del 1995 proprio dal New York Times, e possiamo solo immaginare le discussioni che l’fbi avrà avuto con le redazioni che stavano prendendo in considerazione l’idea di pubblicare il testo.
Alla fine, sarà il Washington Post, il 19 settembre dello stesso anno, a pubblicare la prima versione di La società industriale e il suo futuro. E sarà proprio la pubblicazione di quello che sarà poi ribattezzato Il manifesto di Unabomber a tradirlo.
Abbiamo affermato poche pagine indietro che il libro che avete tra le mani è stato il frutto di un’attività pluridecennale, e che sarà stato proprio questo il suo unico errore. Tra il 1978 e il 1983, infatti, Ted Kaczynski scriverà a mano un articolo di poche decine di pagine, rimasto inedito fino al 2022 ma usato come prova nel processo contro di lui, intitolato Reflections on Purposeful Work3. In questo manoscritto (purtroppo il testo risulta a oggi incompleto: termina infatti bruscamente, dal momento che non tutte le pagine sono state archiviate) erano già presenti le sue idee principali: la sovrasocializzazione, l’attacco frontale alla società industriale, la critica a un mondo che sembra ingabbiarci in una serie di attività senza senso, utili solo a non farci impazzire e continuare a produrre, la schiavitù dell’apparato tecnologico-industriale. Anche la prosa era la stessa: schematica, assiomatica, di un rigore quasi matematico. La società industriale e il suo futuro e Reflections on Purposeful Work sono due meccanismi bilanciati in modo rigoroso e di precisione millimetrica.
Ma, appunto, erano il frutto della stessa mano. E la moglie di suo fratello, Linda Patrick, aveva riconosciuto quella mano.
Il resto è storia: il 3 aprile 1996, l’fbi fece irruzione nel suo capanno, nel Montana, arrestando quello che è stato il più grande ricercato della storia degli Stati Uniti e ponendo fine alla più costosa caccia all’uomo della storia.
Siamo arrivati all’ultima fotografia. Ormai il suo processo è terminato con una condanna a vita e Ted Kaczynski continua a far parlare di sé, nel bene e nel male. Ha una corrispondenza fittissima con anarchici, attivisti e semplici curiosi da tutto il mondo; continua a scrivere, a limare il suo manifesto, a pubblicare articoli in fanzine e periodici che hanno avuto il coraggio di ospitare i suoi saggi e le sue riflessioni: Green Anarchism, LWOD, OFF! Magazine, e molte altre riviste underground ormai impossibili da rintracciare.
Paradossalmente, è forse questo il periodo in cui si è sentito finalmente pacificato. La sua più grande sconfitta (il suo arresto) è stata anche la sua più grande vittoria (la diffusione delle sue idee in un modo che probabilmente neppure lui era in grado di immaginare). In un certo senso, gli anni dei suoi attentati hanno rappresentato il più spettacolare progetto di self branding a cui un autore si sia mai dedicato4. E ne era ben cosciente: in molte occasioni (vedi anche In difesa della violenza, contenuto in questo volume) ribadirà l’importanza del terrore come propellente per la diffusione delle sue idee.
Oggi, a poco meno di un anno dalla sua morte avvenuta in circostanze ancora non perfettamente chiarite (il 10 giugno 2023 – le speculazioni variano dal suicidio per impiccagione a quella di morte per cancro), possiamo dire che il numero di copie, traduzioni e edizioni del suo manifesto, e degli altri libri, gli hanno dato ampiamente ragione.
Perché pubblicare il manifesto nel 2024?
Mi perdonerete se mi sono dilungato nella disamina della storia editoriale di questo testo e nella biografia del suo autore. Ora capirete perché ho affermato che questa è una di quelle opere che non possono essere separate dal suo autore. Un autore che non possiamo che definire, in modo eufemistico, problematico. Kaczynski ha avuto per grande parte della sua vita un atteggiamento misogino; ha promosso attivamente – nel suo manifesto, ma non solo – un approccio che potremmo definire anti-intersezionale; è stato, per gran parte della sua vita, apertamente anti-comunista5.
Inoltre, è eufemistico dire che il testo di cui discutiamo sia nei punti principali assolutamente parziale e vago, mentre in altri le generalizzazioni sono così totalizzanti da far nascere fraintendimenti così grossolani alla maggior parte dei lettori. Per esempio, che cos’è il leftism? Kaczynski afferma che è un’ideologia che riguarda femminismo, cosmopolitismo, lotta per i diritti delle comunità queer… Ma afferma anche che chi aderisce a tali lotte non necessariamente ricade nel cappello del leftism. D’altra parte, alcune generalizzazioni sono incomprensibili fuori dal contesto statunitense: per esempio, l’odio verso il collettivismo e l’amore verso l’individualismo. Insomma, si tratta di un testo tutt’altro che esente da pecche (che lui stesso conosceva, tanto è vero che ha cercato nel corso di tutta la sua vita di rammendare soluzioni in lettere, saggi, articoli e addendum6).
Ma allora, perché una casa editrice come D Editore, che ha fatto proprio dell’intersezionalità delle lotte uno dei suoi valori fondamentali, ha deciso di pubblicare un libro come La società industriale e il suo futuro, in versione estesa e con diversi saggi inediti che vanno a completare il quadro del pensiero di Kaczynski?
Il motivo è semplice: perché in un periodo di forte pacificazione e di balcanizzazione delle lotte, in un periodo in cui l’azione violenta (anche la meno radicale) viene vista come ripugnante addirittura in segmenti dei movimenti libertari, in un periodo in cui lo Stato stringe ancora più forte la presa sul proprio diritto al monopolio della violenza, in un periodo come quello che stiamo vivendo, insomma, il messaggio di Theodore J. Kaczynski è necessario che venga ascoltato. Almeno, una parte di quel messaggio.
Certo, va ripetuto e ben tenuto a mente: è stato un pensatore dai tratti assolutamente problematici (e non è un caso che il suo lavoro abbia ricevuto un mal riuscito tentativo di sussunzione dal mondo dell’alt-right americana e dalla galassia incel) e molte delle sue ritrattazioni non vanno a cancellare un approccio inconciliabile con quello che abbiamo sposato nel nostro progetto editoriale.
Cionondimeno, quello che avete tra le mani è l’ultimo grande manifesto politico anarchico, un manifesto che indica una prassi con il coraggio che nessun intellettuale ha purtroppo oggi: quello della rivoluzione. Nella sua ingenuità, Kaczynski non ha paura di affermare una verità difficilmente riducibile: per fare la rivoluzione è necessaria la violenza. Non una violenza cieca, vaga, ma una violenza educata dalla tattica rivoluzionaria (altro tema su cui insisterà moltissimo nel manifesto e nei saggi a seguire); nonostante il suo isolamento, Kaczynski conosce e capisce bene i media: anzi, è chiaro che solo attraverso la sua comprensione del funzionamento del mondo che combatte è riuscito a diffondere il suo messaggio. Questo è, per lui, un esempio di tattica. L’azione violenta, l’azione rivoluzionaria, non deve essere fine a sé stessa, ma strumento politico che sposta la riflessione sull’ottenimento di un obiettivo: la liberazione di una terra occupata, il sabotaggio di un cantiere per un’infrastruttura non voluta da una comunità, la diffusione – appunto – di una chiamata alle armi. E il megafono di questa chiamata sono le parole scritte da un uomo che ha preferito privarsi di tutte le possibilità che stavano per schiudersi di fronte a sé, piuttosto che rinunciare alla coerenza di uno stile di vita così radicale da essere irripetibile.
È importante ribadire ancora una volta un punto prima di lasciarvi addentrare tra le pagine del manifesto: questo libro è stato scritto e riscritto nel corso di decenni. Noi abbiamo cercato di portarlo nella sua versione più aggiornata, con un corredo di note che potesse rendere chiara la stratificazione nel tempo delle diverse modifiche e corredandolo di vari documenti che in qualche modo vanno a illuminare alcuni spazi di ombra che il manifesto lascia. Vi sono molti altri campi di indagine che andrebbero approfonditi: lo faremo nei prossimi volumi di questa collana, la Freedom Club Collection, che vuole arrogarsi il diritto di presentarsi come la più completa collezione editoriale di uno dei più controversi autori di ogni tempo.
A voi, che state per addentrarvi in questo percorso oscuro e forse pericoloso, non posso che augurare: buona lettura.
1 Testo citato nella sua autobiografia, di prossima pubblicazione. Aggiungerà: «Insegnavo a Berkeley solo per finanziare il mio progetto di andare a vivere nella foresta. Consideravo i matematici delle persone davvero poco interessanti, e sentivo di non avere nulla in comune con loro. Per loro, la matematica era davvero qualcosa di Importante, con la I grande, mentre per me era solo un gioco. Un gioco di cui iniziavo a stancarmi».
2 «Nella sua valutazione psichiatrica, Johnson rivelò che Kaczynski ebbe persistenti e intense fantasie sessuali sull’essere donna. Quando era studente all’Università del Michigan, nel 1967, visitò uno psichiatra per discutere del suo desiderio di un’operazione di riassegnazione di genere. Ma nella sala d’attesa, si tirò indietro». Da William Booth, Gender Confusion, Sex Change Idea Fueled Kaczynski’s rage, report says, in The Washington Post, numero del 2 settembre 1998. Vedi anche Ted Kaczynski’s Autobiography (T. Version), inedito, depositato presso il fondo della Labadie Collection, box 68, folder 8.
3 Questo documento è conservato nella Labadie Collection, box 65, e negli archivi dell’fbi di Chicago con il codice di archivio K2041.
4 Con questo, non sto certo invitando novelli autori o novelle autrici a praticare azioni illegali per promuoversi. D’altra parte, non siamo immuni al fascino della lotta.
5 Sebbene il suo odio per il leftistm vada rintracciato non per la “sinistra politica” ma per il pensiero liberale e il progressismo di stampo americano, come più volte cercherà di chiarire.
6 Alcuni di questi frammenti sono stati pubblicati all’interno di questo volume, mentre altri saranno oggetto di future pubblicazioni.