L’Elvis dell’antropologia. Elogio a David Graeber
Erica Lagalisse, autrice di Anarcoccultismo, è stata la compagna di vita di David Graeber per circa sette anni.
A un mese dalla scomparsa dell’antropologo e pensatore anarchico, pubblichiamo il ricordo dell’autrice canadese.
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È iniziata: ora tutti sembrano essere stati grandi amici di David Graeber. Non che a lui sarebbe dispiaciuto. Sarebbe impazzito nel vedere tutti questi politici, che in vita non gli avrebbero nemmeno rivolto il saluto, sperticarsi in pubbliche orazioni. Sì, riesco a vederlo, seduto in bagno, con il suo laptop, appollaiato al bordo della vasca, mentre scrolla Twitter. Riesco a vedere la tazza del caffè che lascia degli anelli marroni sulla porcellana. Mi sembra tutto così vivido, mentre lo descrivo.
Vorrei onorare David condividendo ciò che so e ricordo dei suoi desideri. Dal 2005, quando gli scrissi per la prima volta per dimostrare la mia gratitudine per il suo Frammenti di antropologia anarchica, David e io abbiamo portato avanti nello scambio intellettualmente più stimolante e divertente che abbia mai avuto. Prima via e-mail, poi di persona, avendo finalmente vissuto assieme dopo una relazione durata sette anni. Iniziammo a conoscerci concentrandoci sulla prima stesura di Direct Action, An Ethnography (era il 2009) nella mia città natale, Montréal, mentre la sua tesi di laurea, poco conosciuta ai più, diventava sempre più importante per la mia dissertazione sui movimenti anarchici. Non leggeva molti testi sul femminismo, neppure quelli che gli consigliavo. Eppure, non mancava mai di citarli dove suggerivo di farlo. Ricordo che scrisse Debito. I primi 5000 anni (2011), prima del libro Pirates (ancora inedito) a seguito della crisi economica globale. A volte mi chiedo cosa sarebbe successo se non lo avesse scritto. Forse non sarebbe diventato Famoso. Forse avremmo potuto avere una vita insieme, e lui sarebbe ancora qui oggi. Io ero con lui in quei giorni. L’ho visto imprecare e stringere i pugni ogni volta che un intervistatore gli faceva domande sul movimento Occupy. L’ho visto mentre cercava di far capire che lui non voleva essere considerato uno dei “leader” di quel movimento. Nel mentre, continuava a dimenarsi nel mondo accademico e nell’antropologia, ciò che realmente lo rendeva orgoglioso e gli dava gioia.
David era brillante, ma anche ricco di traumi. Era quel tipo di persona che aveva dovuto imparare presto a come evitare il disagio fisico ed emotivo, e lo faceva astraendosi dalla realtà. La sua infanzia è stata dolorosa e segnata dal rifiuto: forse ha imparato a farlo fin da piccolo per tirare avanti. Forse era una persona difficile con cui avere a che fare già da bambino. Forse, come boomer della classe operaia (qualcosa di opposto ai millennial della classe media) non doveva tener conto del fatto che fosse in un punto non precisato “dello spettro”. Ad ogni modo, David non era in grado sopportare l’idea di sentire il suo stesso corpo. Se avesse cercato di spostare la sua attenzione sul suo petto, sul suo respiro, probabilmente sarebbe soffocato. Forse, addirittura, sarebbe morto. O, perlomeno, avrebbe dimenticato chi fosse. Credo che il solo fatto di essere all’interno del suo corpo gli abbia creato un enorme dolore, sia emotivo che fisico. Pensare era meglio di provare, per lui.
Un giorno sentirò il bisogno di sfogarmi, di raccontare come anche lui sia stato in qualche modo un privilegiato, dato che è stato proprio grazie ai suoi suoi (crescenti) privilegi sociali che è riuscito a far passare i suoi aspetti più problematici come delle eccentricità: una donna, se si fosse comportata come David, non sarebbe stata considerata come una “professoressa pazza”, ma come una “psicopatica isterica”, e una persona nera con il suo temperamento sarebbe stata assassinata dalla polizia.
Ma parte del mio cuore ancora mi fa pensare a noi, a quando eravamo soli, insieme, crivellati dai nostri rispettivi traumi, mentre discutevamo con fervore di tutti i principali testi filosofici occidentali sul desiderio: Hegel, Schopenhauer, Kojeve, Butler, Lacan, Deleuze, De Beauvoir, Kristeva… Questi erano I nostri momenti più intimi, quelli in cui eravamo più vicini. Tappezzavamo la nostra profonda solitudine di tanti giochi di parole, barzellette e risate. C’era questo tizio tedesco di nome Hegel, la cui logica aveva la forma di un bagel. Era molto intelligente, ma sua moglie diceva “pazienza, preferisco stare con Schlegel”. Nei giorni più intensi arrivavamo a scrivere addirittura barzellette sulle figure greche classiche ispirandoci alle storie di Nasruddin.
Davide era un magnifico nerd. Era anche un grande ricercatore e uno studioso rigoroso, e merita di essere ricordato come lui desiderava di essere ricordato, ossia per il suo contributo all’antropologia. Non solo per aver reso popolare la disciplina o per essere stato un punto di riferimento per gli studenti con il suo entusiasmo e la sua affabilità. Sono state soprattutto le sue ricerche accademiche, quelle che hanno contribuito al dibattito sul valore, sul sacrificio, sulla regalità, sulla gerarchia e sui cambiamenti sociali, nell’alveo della tradizione che si tende a romanticizzare come “grande tradizione”, ad averlo reso noto. Una tradizione che è stata coloniale e machista. Sono stata letteralmente la prima a lamentarmi di quel libro che ha scritto con Marshall Sahlins, On Kings (2017), che in qualche modo evita di rispondere alla domanda del perché ci siano così poche regine al comando nella storia. Eppure, nonostante tutto, quel libro ha il suo valore in ogni libreria di antropologia, per quanto sia in qualche modo figlio della violenza e del trauma. Lo stesso accade nell’intelligenza espansiva e sbilanciata di David, anch’essa generate dalla violenza e dal trauma, dalle quali non può essere separata.
David è stato uno dei pochi antropologi sufficientemente motivati dal punto di vista politico da essere in grado di mostrarci come gli strumenti dell’antropologia classica possano continuare a insegnarci qualcosa sull’umanità e sulle nostre possibilità (come collettività) di cambiare la società. Sto scrivendo un saggio, Anthropology (che uscirà nel 2021), dove spiegherò come l’approccio transculturale sulla proprietà, sulla gerarchia e sull’elusione di David mi sia stata utilissima per elaborare la mia nozione di “buona politica”, anche se credo che a lui avrebbe fatto bene insistere sulle nozioni di razza e genere: nel gioco della “buona politica”, l’appropriazione delle identità di successo richiede prima di tutto di appropriarsi del successo delle identità.
David era cosciente del fatto che il libro Bullshit Jobs (2018) ci andava piano su questo tema. Il suo sottile orgoglio (e le condizioni materiali che hanno portato alla sua pubblicazione) non gli avrebbero mai permesso di ammetterlo sui social, ma in privato, con me, ne parlava come un prodotto, come un “tutto esaurito”. Simon & Schuster gli offrirono un bel po’ di penny, e lui se li prese perché voleva poter finalmente comprarsi casa (a Londra, poi…) invece di affittarne una fino a sessant’anni. Possiamo essere felici per lui, o riconoscere che stava cercando quel senso di sicurezza economica che è propria di molti dei suoi critici.
Se mi concentro, i miei occhi possono ancora vedere la frustrazione di David: da un lato criticato da molti attivisti politici come uomo dell’establishment, dall’altro deriso da molti accademici per il suo credo politico. Ciò che più infastidiva David era il fatto che venisse spesso etichettato come “antropologo anarchico”, come se il suo impegno politico dovesse qualificare interamente la sua attività di antropologo, e viceversa. Per molti versi, la fama non gli fece bene. Potremmo dire che è stato trascinato da una parte e dall’altra.
Nel frattempo, il suo libro sui pirati e sul sacrificio prendono forma senza di lui. Quello sui pirati, specialmente, è il libro che ho sempre voluto vedere. David era sempre felice quando me ne parlava, così come era felice quando parlava del Madagascar. Che tu sia un ammiratore, uno studioso delle sue opere o semplicemente un lettore di Graeber, la cosa migliore che puoi fare per rendergli onore è leggere il suo libro sulla magia e sulla schiavitù in Madagascar, Lost People (2007). David ha investito un decennio della sua giovinezza, e anche i suoi denti (come sa solo chi lo conosceva personalmente), riversando tutte le sue energie e risorse in quella ricerca etnografica. Eppure, quel libro non fu molto letto (in parte anche perché è un testo che ha preteso di essere non più corto di 486 pagine). Era orgoglioso del suo lavoro in Madagascar, anche dal punto di vista letterario (farà sorridere, ma stava leggendo Dostoevsky mentre la scriveva), e merita di essere apprezzato e letto quanto i suoi libri più popolari. Spero che ora che se n’è andato, anche i suoi lavori più accademici possano trovare un pubblico più ampio.
Ho dovuto lasciare David, eppure mi sento ancora terribilmente triste ora che so che i nostri scambi sono finiti per sempre. Avrei voluto così tanto che potesse sperimentare una felicità maggiore di quella che ha provato in vita, che vivesse a lungo e che potesse godere dei frutti di quell’enorme lavoro che ha svolto in tutta la vita, che avesse finalmente trovato la sicurezza economica che gli è sempre mancata, che fosse circondato dai suoi studenti, da personaggi interessanti e amici, in una casa piena di snack costosi. Se ci fosse riuscito, avrebbe avuto la casa piena di curiosità e sciarpe un po’ dappertutto. David era l’Elvis dell’antropologia (David, so che questa battuta ti avrebbe fatto incazzare, ma è divertente, vera e fantastica, e so che ora non ti starai prendendo così dannatamente sul serio come facevi quando eri con noi. Finalmente hai trovato la magia che tanto amavi studiare.
Mi piacerebbe che le sue idee e le sue ricerche fossero rispettate per quello che erano, soprattutto durante questo suo passaggio. David non apprezava l’accademizazione dell’anarchia (che viene chiamata oggi “anarchis studies”), sentiva seriamente che l’antropologia non dovesse rinunciare alla realtà (seguendo una sorta di “realismo critico”), pensava che l’anarchia e l’antropologia necessitassero un’analisi di classe, pensava che le decisioni importanti dovessero essere prese tramite il consenso popolare, disprezzava i borghesi. Riponete sul comodino per un po’ Bullshit Jobs e leggete le sue ricerche sul Madagascar. David merita di essere ricordato per i valori che aveva a cuore: per la sua rigorosa cultura accademica e per essere una persona gentile e sciocca, con molte qualità che facevano sì che i suoi difetti venissero perdonati.