Pandemia e infodemia
Informazione e conoscenza nel Virocene
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In memoria di Bernard Stiegler
Uno dei problemi che ci troviamo ad affrontare oggi è quello di capire se le difficoltà che incontriamo in termini di reazione alla pandemia siano frutto della carenza di informazioni o del loro eccesso. Questa incertezza si rispecchia nel dibattito attuale, collegando le dichiarazioni del Ministro che critica la scarsa capacità degli scienziati nel fornire “certezze inconfutabili”[1] alla domanda del Filosofo su come abbiamo potuto accettare, “soltanto in nome di un rischio che non era possibile precisare”[2], di rinunciare a spazi indispensabili di libertà.
Su un altro versante specialisti intervengono per dire che altri specialisti farebbero bene a non intervenire con informazioni poco affidabili. E intanto fake news proliferano sul virus creato in laboratorio, sulla sua diffusione pianificata a scopi geopolitici e sull’efficacia di terapie miracolose. In tutti i casi l’incertezza è alimentata dal moltiplicarsi incontrollato di quasi-informazioni che obbligano a dedicare tempo prezioso a verificarne la consistenza. E questo solo per scoprire che nel frattempo altre pseudo-informazioni si sono ammassate sulla soglia.
La frontiera tra informazioni e non-informazioni si confonde ai più alti livelli, al punto da creare maggior danno quando bias e perturbazioni coinvolgono le fonti a cui in genere si concede affidabilità, come i pronunciamenti governativi e le pubblicazioni scientifiche. All’atto della promulgazione dei primi DPCM e ordinanze regionali i giuristi rilevavano come le formulazioni adottate si prestassero a interpretazioni contraddittorie o, in alcuni casi, minacciassero sanzioni che non erano in grado di comminare[3]. Ed esperti medico-scientifici notavano come paper che cavalcavano l’hot topic della pandemia (ad esempio identificando somiglianze tra le proteine di superficie del virus attuale e quello dell’HIV o fornendo rating di letalità indimostrabili) si fossero rivelati viziati (flawed), fino a venire ritirati dopo la loro prima pubblicazione anche su riviste blasonate[4].
Il risultato è che agli effetti della pandemia e delle misure per contenerla si affiancano le conseguenze di una patologia accessoria ma virulenta, quell’infodemia (infodemic) che nel 2003 David Rothkopf affermava aver trasformato, nel caso della SARS, una “pasticciata crisi sanitaria regionale cinese in una debacle economica e sociale globale”[5]. Fatte le debite proporzioni, sarebbe rischioso affermare che in questi mesi la proliferazione incontrollata di informazioni abbia provocato più danni della COVID-19. O che l’attuale confusione sia da attribuire ad una mera perturbazione informativa. E tuttavia, poiché caratteristica dell’infodemia è di sganciarsi dalla portata di un fenomeno amplificandone comunque gli effetti, diventa urgente capire come predisporre tecniche di prevenzione dai suoi pericoli.
La questione della proliferazione infodemica in campo sanitario ha accompagnato l’esplosione del World Wide Web sin dalla metà degli anni Novanta[6]. Fino al 2002, anno in cui il termine Infodemiology viene canonizzato[7], più di cento tra articoli e pubblicazioni denunciano i rischi della discrasia tra l’informazione medica sul web e quella evidence-based, regolata da sistemi e procedure di verifica[8]. Tutti i contributi convergono nel richiedere pratiche di controllo rispetto al potenziale tossico dell’informazione online; e alcuni proseguono nell’includere come parte della nuova disciplina infodemiologica i possibili usi in positivo delle query sanitarie, ai fini, per esempio, della prevenzione di epidemie[9] o attacchi bioterroristici[10]. L’attivazione di meccanismi di infosorveglianza o infovigilanza (infoveillance)[11] mette infatti in condizione di tracciare outbreak di influenza che rischiano di sfuggire ai canali ufficiali, così come l’incidenza di tumori in contesti condizionati da fonti inquinanti. Il tutto incrociando in automatico i dati (ad esempio insiemi di tags e keywords) delle ricerche su Google con la loro localizzazione geografica, utenza d’origine e distribuzione temporale.
La possibilità di una infosorveglianza non solo repressiva conferma che la moltiplicazione delle reti e delle agenzie informative può non esser necessariamente un male, quanto un effetto inevitabile di quella reticolarizzazione della vita associata che, specie in tempi di distanziamento fisico, supplisce ai bisogni degli individui. E se si tratta di un processo irreversibile occorre pensare a possibili correttivi rispetto alle sue storture piuttosto che prodursi in esortazioni velleitarie al grido di Chiudete l’Internet!. Questo non solo elaborando pratiche di infosorveglianza in campi che di volta in volta si rivelano a rischio, ma estendendo i temi dell’infodemia sanitaria ad una infodemica nel senso di “analisi generale delle patologie informative”.
Anche nel caso attuale l’incertezza che rende difficile le decisioni potrebbe esser ridotta adottando pratiche di infovigilanza. Che non vuol dire istituire task force governative contro le fake news (che avrebbero qualche difficoltà a comprendere il proprio mandante tra gli oggetti di debunking), ma puntare ad una diagnostica delle patologie in corso. Prendendo innanzitutto coscienza del fatto che, ai vari livelli della comunicazione pubblica, non si è ancora aperta neppure una questione sul come le informazioni debbano essere acquisite, trasmesse e elaborate in tempi di crisi[12].
Parlo di crisi e non di guerra perché anche sull’uso di questa metafora si sono spese pagine[13]. Ma l’attuale emergenza sanitaria un rapporto con lo scenario bellico indubbiamente ce l’ha, e sta nel tempo necessario a rispondere ad un evento infettivo che ha i tratti di un attacco a sorpresa; un Blitzkrieg nel quale gli spazi per acquisire informazioni e progettare risposte si riducono. Se aggiungiamo che una pandemia e una crisi economico-sociale globali comportano una massa enorme di dati da gestire, saremo d’accordo che solo un’intelligenza in larga parte automatizzata può pensare di computare in ingresso tutti i dati nella frazione di tempo utile a formulare una risposta.
D’altra parte, l’idea che per ottimizzare dati complessi garantendo trasmissioni pulite siano necessari processi automatici, sta alla base della moderna teoria dell’informazione. Che, senza allontanarci dallo scenario metaforico, è figlia a pari titolo dello sviluppo commerciale e di quello bellico. Già, perché il senso che oggi diamo oggi a questa nozione si deve al lavoro di teorici quali Claude Shannon, Alan Turing e Norbert Wiener; e allo studio di problemi come l’ottimizzazione dei segnali lungo le linee elettriche[14] o la distorsione improvvisa dei flussi informativi su un canale[15]. Non ci si pensa sovente, ma la connessione tra informazione e automazione si esprime anche nel problema della velocità di decodifica dei cifrari (tutti abbiamo visto The Imitation Game), che è a sua volta espressione di una questione balistica di fondo: il fatto che, a causa dell’uso sistematico delle tecnologie, in particolare dell’aeronautica e della missilistica nella Seconda Guerra Mondiale, per la prima volta nella storia i bersagli si muovono a velocità pari o superiore quella dei proiettili. Ciò comporta una rivoluzione nei processi di calcolo, che non possono più essere portati a termine da operatori solo umani. La celebre nozione di feedback (retroazione) su cui Norbert Wiener istituisce nel 1948 la nuova scienza del governo automatico delle informazioni (cibernetica) è tra le altre cose il frutto dello studio sulle procedure di riallineamento automatico della contraerea[16]; così come la teoria dell’informazione di Claude Shannon germina negli anni passati a lavorare al medesimo problema sull’analizzatore differenziale di Vannevar Bush, all’epoca Presidente del National Defense Research Committee e poi promotore del Progetto Manhattan[17].
Per tornare ai giorni nostri, i casi di Cina e Corea forniscono indizi contrastanti su cosa significhi automatizzare “militarmente” la gestione dell’informazione. Tra le conseguenze dell’infodemia legata alla SARS c’è stata infatti anche quella di contribuire a “blindare” gli assetti informativi, non solo medico-sanitari, rinchiusi oggi in un sistema di controllo e tracciamento automatici talmente capillare da non farsi sfuggire, potenzialmente, il più piccolo atomo di informazione online relativo a gusti, orientamenti e comportamenti dei cittadini[18]. Questo assetto, edificato in nome di un ambiente digitale sano[19], se è stato un fattore determinante del controllo sanitario che ha limitato (almeno in Cina), gli effetti dell’epidemia in corso, per le limitazioni alla libertà personale che implica deve rendere quantomeno cauti sull’opportunità di implementare in un sol colpo, insieme a procedure diagnostiche come scanning sierologico o tamponi di massa, tecnologie di censura dei contenuti, riconoscimento facciale o analisi di mobilità. Con tutto il relativo apparato di algoritmi volti a riconoscere schemi di aggregazione e sviluppo dei “fattori di disturbo” informativo, politico e sociale.
Come scrive Tanina Zappone:
L’attuale dirigenza dimostra di avere una visione poliedrica dello strumento informativo: non solo tiene strette le maglie della censura, non sottovalutando il rischio che internet divenga un luogo di opposizione al Partito, ma coglie l’opportunità di fare di questo stesso luogo un sistema di monitoraggio degli umori popolari e spazio di promozione delle attività del governo. Il controllo dell’informazione online si combina sapientemente con l’attenzione per la capacità di creare informazione, di sfruttare il cyberspazio per articolare un discorso ufficiale coerente e uniforme[20].
Nel caso della Cina, il controllo delle distorsioni informative a partire dai livelli più alti sembra essersi tradotto in una infosorveglianza generalizzata che protegge e previene nella misura in cui sacrifica spazi di creatività e autonomia, costringendoli alla clandestinità. Queste e altre esperienze fanno capire che se occorre razionalizzare la raccolta, l’elaborazione e la messa in circolo di dati complessi, bisogna anzitutto proteggersi da una deriva da ipercontrollo di cui, almeno in Occidente, ancora non abbiamo bisogno. Come in teoria non ne avremmo di tecnologie di potere o mercato che ne alimentino l’istanza per legarla al profitto.
Gestire l’infodemica come patologia generale dei flussi informativi dovrebbe voler dire, invece, affrontare il problema nel quadro di una nuova integrazione tra automazione, intelligenza e conoscenza. Se l’intelligenza si può definire “nei termini della velocità e dell’efficienza con cui un individuo recupera informazioni, e del modo in cui ne trae regole generali, per poterle utilizzare anche in situazioni nuove”[21], la conoscenza deve esser qualcosa di più. Nel primo caso siamo in presenza di una definizione che ha il vantaggio di unificare l’intelligenza presente nella vita biologica e in quella artificiale, ma proprio per questo rischia di tradurre libertà e creatività in mere sequenze di automatismi predittivi finalizzati a pianificazione e controllo.
La conoscenza deve invece potersi pensare come pratica non riducibile all’individuazione di pattern di selezione e aggregazione dati o al riallineamento statistico di marker rispetto a target. Mentre può e deve strutturarsi come istanza critica, anche disautomatizzante[22]; in grado di cioè di far saltare, per esempio, le catene di processi informativi opachi, ideologici o strumentali. Se e come filosofi di nuova generazione, liberati dalla falsa alternativa tra tecnofobia e tecnofilia, saremo in grado di affrontare la nuova sfida della conoscenza, è una delle molte incognite che l’epoca in corso, che già qualcuno inizia a definire Virocene[23], consegna alla riflessione.
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[1]Intervista di M. Guerzoni al Ministro Boccia in <<Corriere della sera>>, 13 aprile 2020, consultabile al link: https://www.corriere.it/politica/20_aprile_13/boccia-chi-vuole-riaprirene-sara-responsabilee-ora-scienziati-diano-risposte-chiare-bd518522-7dc6-11ea-bfaa-e40a2751f63b.shtml
[2]G. Agamben, Una domanda, testo consultabile al link: https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-una-domanda e Id., Sul vero e sul falso, testo consultabile al link: https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-sul-vero-e-sul-falso
[3]L. Casarotti, Criminalizzare chi fa jogging e passeggiate: l’ordinanza dell’Emilia-Romagna sotto la lente del giurista, in <<Giap>> 20 Marzo 2020 e Id., Dalle denunce penali alle supermulte: le nuove sanzioni per chi cammina «senza motivo» analizzate da un giurista (spoiler: di dubbia costituzionalità), in <<Giap>>, 3 Aprile 2020. Entrambi consultabili al link: https://www.wumingfoundation.com/giap/tag/luca-casarotti/
[4]J.P.A. Ioannidis, Coronavirus disease 2019: The harms of exaggerated information and non-evidence-based measures, in <<Eur J Clin Invest>> 50 (2020).
[5]D. J. Rothkopf, When the Buzz bites Back, in <<Washington Post>>, 11 Maggio 2003, consultabile al link: http://www1.udel.edu/globalagenda/2004/student/readings/infodemic.html
[6]Tra i primissimi contributi K. Davison, The quality of dietary information on the World Wide Web, in <<J Can Diet Assoc>> 57 (1996), pp. 137–141 e P. Impicciatore, C. Pandolfini, N. Casella, M. Bonati, Reliability of health information for the public on the World Wide Web: systematic survey of advice on managing fever in children at home, in <<BMJ>> 314 (1997), pp. 1875–1879.
[7]G. Eysenbach, Infodemiology: the Epidemiology of (Mis)information, in <<Am J Med>> 113 (2002), pp. 763–765.
[8]Cfr. ivi, p. 763.
[9]L. Baker, T.H. Wagner, S. Singer, M.K. Bundorf, Use of the Internet and e-mail for health care information: results from a national survey, in <<JAMA>>, 289 (2003), pp. 2400-2406.
[10]D.M. Bravata, K.M. McDonald, W.M. Smith, C. Rydzak, H. Szeto, D.L. Buckeridge et al., Systematic Review: Surveillance Systems for Early Detection of Bioterrorism-Related Diseases, in <<Ann. Intern. Med.>> 140 (2004), pp. 910-922.
[11]Cfr. G. Eysembach, Infodemiology and Infoveillance: Framework for an Emerging Set of Public Health Informatics Methods to Analyze Search, Communication and Publication Behavior on the Internet, in <<J Med Internet Res>>, 11 (2009).
[12]Cfr. su questo N. Grandi e A. Piovan, I pericoli dell’infodemia. La comunicazione ai tempi del coronavirus, in <<Micromega>> 26 marzo 2020. Testo consultabile al link: http://temi.repubblica.it/micromega-online/i-pericoli-dell’infodemia-la-comunicazione-ai-tempi-del-coronavirus/
[13]Cfr. su questo A. Cozzo, Guerra al virus? Qualche alternativa linguistica per pensare e agire, in <<L’identità di Clio>>, 2 Maggio 2020. Testo consultabile al link: https://www.lidentitadiclio.com/articoli/guerra-al-virus-qualche-alternativa-linguistica-per-pensare-e-agire/
[14]Cfr. C. Shannon, A Mathematical Theory of Communication, in <<The Bell System Technical Journal>>, 27 (1948), pp. 379–423, 623–656.
[15]Cfr. su questo J. Gleick, L’informazione. Una storia. Una teoria. Un diluvio, tr. it. di V.B. Sala, Feltrinelli, Milano 2012.
[16]N. Wiener, La cibernetica. Controllo e comunicazione nell’animale e nella macchina, tr. it. di G. Barosso, Il Saggiatore, Milano 1968, pp. 27-28.
[17]Cfr. P.J. Nahin, The Logician and the Engineer. How George Boole and Claude Shannon Created the Information Age, Princeton University Press, Princeton and Oxford 2013.
[18]Cfr. su questo G. Massetti, Nella testa del dragone. Identità e ambizioni della nuova Cina, Mondadori, Milano 2020, cap. 3, “L’altra metà di Internet”.
[19]Cfr. su questo T. Zappone, La comunicazione politica cinese rivolta all’estero: dibattito interno, istituzioni e pratica discorsiva, Ledizioni, Milano 2017, p. 182.
[20]Ivi, p. 183.
[21]H. Gee, La specie imprevista. Fraintendimenti sull’evoluzione umana, tr. it. di C. Visco, Il Mulino, Bologna 2016, p. 251.
[22]Sulla conoscenza a venire come insieme di pratiche disautomatizzanti cfr. B. Stiegler, La società automatica. Vol. 1 L’avvenire del lavoro, tr. it. di S. Baranzoni, I. Pelgreffi e P. Vignola, Meltemi, Milano 2019. E anche il vol. 2. L’avvenire della conoscenza (in corso di pubblicazione).
[23]Siamo ancora allo stadio dei post su facebook e degli interventi su blog, ma credo sia questione di tempo per vedere i primi contributi in forma di articoli, saggi e monografie strutturati. Nel frattempo si può vedere R. Tzanelli, Chapter 4: The Virocene (Consuming), consultabile al link https://northernnotes.leeds.ac.uk/chapter-4-the-virocene-consuming/ e K. Foster, Existing in the Virocene, consultabile al link https://www.buzzsprout.com/1049521/3549598-existing-in-the-virocene?play=true.